Ancora sul “Tramonto” di Giorgione, tra critici d’arte e mercato

Vitale Bloch: il tramonto fra i rattoppi, Giorgione!

di Simone Facchinetti, Alias, 20-8-2020

Giorgione,

Giorgione, “Il Tramonto” Donà dalle Rose, Londra, National Gallery

Folgorazioni: Vitale Bloch / Giorgione, «Il Tramonto», Londra, National Gallery. Ebbe per stelle fisse Longhi e Max J. Friedländer. Studioso inclassificabile, anomalo, viveva di commercio d’arte, attività che gli diede modo di fare notevoli scoperte: il paesaggio «puro» Donà dalle Rose è la più importante

Il primo amore di Vitale Bloch è stato Der Kunstkenner (Il conoscitore d’arte) di Max J. Friedländer: una specie di bibbia scritta in una lingua per iniziati. Parla di pratica e metodologia della connoisseurship con un tono apparentemente semplice, superando le vecchie teorie morelliane e quelle del suo celebre allievo Bernard Berenson. Il libro proiettava la silhouette del connoisseur che Bloch avrebbe voluto incarnare in avvenire. Perciò decise di tradurlo nella lingua materna (il russo), ventitreenne, nell’anno del trasferimento a Berlino da Bialystock, dove era nato nel 1900.
La stagione berlinese è quella meno documentata della sua carriera ma non è un mistero che Bloch vivesse di commercio d’arte, mestiere che avrebbe continuato a esercitare per il resto della vita. In pochi anni mise a segno una serie di operazioni commerciali che gli avrebbero garantito un’esistenza agiata. Dopo Berlino sarebbe vissuto a L’Aia e a Parigi, dove morì settantacinquenne. In entrambe queste città disponeva di una casa (la seconda condivisa col fratello), arredata con dipinti e disegni antichi e moderni. Alla sua scomparsa li lasciò in dono al Boymans-van Beuningen Museum di Rotterdam. Non una raccolta qualsiasi, tutt’altro: lo specchio di un fiuto e di un gusto eccezionali, riflesso nei nomi di Beccafumi, Guercino, Sweerts, Grechetto, Corot, Degas, Bonnard, Vuillard, fino a Giorgio Morandi. Alcuni sono autori che hanno poco in comune, almeno in apparenza. In realtà sfogliando il catalogo della raccolta ci si accorge che le opere si fondono perfettamente all’insegna di quello che, all’epoca, era chiamato l’infallibile «gusto Bloch». Per completare le sue passioni figurative mancano all’appello i nomi di Johann Liss, dei fratelli Le Nain, di Georges de la Tour, di Vermeer e di Rembrandt, autori sui quali avrebbe scritto contributi originali.
Bloch era uno storico dell’arte piuttosto anomalo, atipico, inclassificabile. Dovendo fare un bilancio della sua produzione critica bisognerebbe intrecciarla con quella legata all’attività di art dealer che l’ha visto coinvolto in scoperte e vendite ai principali musei del mondo. Tra poco ci soffermeremo su uno dei suoi ritrovamenti più straordinari, non prima di aver accennato al fatto che il legame con Friedländer si sarebbe rinsaldato proprio grazie a un acquisto messo a segno da quest’ultimo per conto della Gemäldegalerie di Berlino nel 1931: un’opera eccentrica di Pieter Bruegel il vecchio (due scimmie incatenate in una nicchia voltata aperta sulla vista del porto di Anversa), rintracciata da Bloch.
Solo un paio di anni dopo il nostro personaggio era già sulle tracce di un altro capolavoro, questa volta privo di firma e data (diversamente dal fortunato caso di Bruegel), ma infinitamente più importante nel panorama della pittura europea. Presso villa Garzoni a Ponte Casale (nei pressi di Padova), all’epoca di proprietà Donà dalle Rose, era venuto alla luce un formidabile paesaggio «puro». Lo stato di conservazione non aiutava in nessun modo la comprensione delle sue qualità stilistiche. Buchi, rattoppi e scrostature del colore, avrebbero portato fuori strada chiunque. Perciò dobbiamo giudicare con particolare indulgenza il parere espresso da Giulio Lorenzetti (all’epoca direttore del Museo Correr a Venezia) e poi quello della commissione che ne ha decretato l’esportazione, costituito da figure di prima grandezza del tempo: Gino Fogolari, Ettore Modigliani e Carlo Gamba. Quest’ultimo, a distanza di molti anni, avrebbe ricordato che la delicata decisione venne presa solo dopo un confronto diretto con la Tempesta di Giorgione, di fronte alla quale il nostro paesaggio «appariva opaco e senza prospettiva cromatica, quale opera d’imitazione o di copia».
A questo punto Bloch si è affidato a Roberto Longhi che, oltre ad attribuirlo direttamente a Giorgione, l’avrebbe battezzato col nome con cui lo chiamiamo ancora oggi: Il Tramonto (The Sunset). Siamo nel 1934 (all’altezza dell’Officina Ferrarese) e i due decisero di far sovrintendere il restauro a Mauro Pellicioli. L’esecutore materiale sarà però Theodor Dumler, che sfrutterà un’area particolarmente compromessa della tela (un buco rappezzato) per fornire una chiave di lettura al quadro. Fino ad allora era infatti ancora piuttosto oscuro il soggetto. Grazie a questo intervento falsificatorio si poteva almeno contare sulla presenza del San Giorgio e il drago che Dumler aveva inventato di sana pianta. Le manipolazioni del restauratore hanno riguardato anche l’aggiunta dell’eremita che si intravede all’interno di un anfratto roccioso, all’estremità destra della tela, identificato in Sant’Antonio abate.
La prima fotografia del dipinto è stata pubblicata sempre da Longhi nel Viatico del 1946. Assieme ai Tre Filosofi di Vienna egli considerava Il Tramonto l’espressione «del classicismo cromatico che spiegherà poco dopo Tiziano». Sulla base della stessa immagine anche Berenson aveva dichiarato – in una lettera indirizzata nel 1953 a Cecil Gould della National Gallery di Londra – che il dipinto era «the most convincing of all attributions to Giorgione».
La prima apparizione pubblica del dipinto risale al 1955, quando è esposto alla mostra veneziana di Giorgione e i giorgioneschi. In quella sede i principali studiosi italiani di arte veneta si erano convinti dell’attribuzione al maestro di Castelfranco Veneto (Luigi Coletti, Vittorio Moschini, Antonio Morassi, Rodolfo Pallucchini, Lionello Venturi, Pietro Zampetti). Bloch ci era arrivato, chissà se da solo (qualcuno ha scritto che il dipinto era stato acquistato in società con Longhi), vent’anni prima. A questo punto era iniziata una lunga trattativa con la National Gallery di Londra, felicemente conclusa con l’acquisto nel 1961. D’ora in avanti i dubbi sul nome di Giorgione si sarebbero ridotti a voci isolate, marginali e sporadiche. Negli studi successivi è stato ipotizzato che l’opera fosse appartenuta al celebre conoscitore veneziano Marcantonio Michiel (1484-1552). Dal 1594 (e fino agli inizi del XX secolo) la villa Garzoni era infatti abitata dagli eredi Michiel e in un inventario della collezione di Marcantonio (successivo al 1552) risulta registrato «Un quadro in un paese con doi figurini cornisado d’oro schietto».
Non saprei dire se Bloch ammirasse maggiormente Longhi o Friedländer. Era amico sodale di entrambi e tutti e due erano le stelle fisse del suo firmamento. Nel necrologio del primo si era sentito in dovere di sottolineare l’importanza delle Proposte per una critica d’arte, confrontandole, guarda caso, al Conoscitore d’arte di Friedländer, definito un testo «folgorante». Di quest’ultimo ammirava la precisione chirurgica, fredda e oggettiva, ma anche la calorosa partecipazione ai fatti moderni: «E per i raffinati, diciamo pure, per gli snob avvezzi a sorridere di una Madonna di Gerard David o di Quentin Matsys come di una cosa superata, aggiungiamo che fin dal 1888 Friedländer aveva riconosciuto la vitalità della nuova pittura francese». Con queste parole Bloch introduceva la traduzione italiana del Conoscitore d’arte, pubblicata per i tipi Einaudi nel 1955. Come a dire: l’unica possibilità di stare al passo con l’arte antica è conoscere l’arte contemporanea, e viceversa. Un assunto su cui i suoi maestri d’elezione si sarebbero sicuramente trovati d’accordo. Certo con Il Tramonto di Giorgione aveva funzionato.

 

 

L’arroganza dei politici cancella un capolavoro settecentesco e insulta ogni principio di tutela e restauro

Le metamorfosi di Calatrava: la chiesa ora è un videogioco

di Tomaso Montanari, Emergenza Cultura, 27-7-2021

Immaginiamo che la direttrice del Bargello chieda a Jeff Koons di reinterpretare il Bacco di Michelangelo: e che quello si metta a dorarne i capelli, colorandogli sul marmo un paio di brache rosse da topolino. O che il direttore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia chieda a Damien Hirst di risemantizzare la Tempesta di Giorgione, e che quello la metta in una teca stagna e la cali in una vasca piena di squali vivi. E che entrambi questi interventi vengano decisi appunto dai direttori autonomi, senza consultare i loro stessi consigli scientifici, né le soprintendenze e i comitati tecnico-scientifici ministeriali. E che siano interventi senza una data di conclusione. E, naturalmente, che vengano inaugurati dal ministro per i Beni culturali. Ebbene, è esattamente quello che è successo alla chiesa di San Gennaro (1745-1776) nel Bosco di Capodimonte a Napoli, un’opera di un grandissimo architetto del tardo barocco: Ferdinando Sanfelice. Leggi tutto “L’arroganza dei politici cancella un capolavoro settecentesco e insulta ogni principio di tutela e restauro”

Qundo il restauro è corretto: Mantegna al Poldi Pezzoli

Andrea Mantegna, la Madonna col Bambino del Poldi Pezzoli: il racconto di un restauro

Finestre sull’arte, 10-7-2021

Andrea Mantegna, Madonna col Bambino (1490-1499; tempera magra su tela, 35,5 x 45,5 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli). Dopo il restauro

La Madonna col Bambino di Andrea Mantegna del Poldi Pezzoli di Milano era stata pesantemente alterata nell’Ottocento: il restauro condotto tra il 2019 e il 2020 ha permesso di recuperare i suoi valori originali. Ecco come si è svolto l’importante intervento.

Un restauro ottocentesco aveva alterato a tal punto l’aspetto della Madonna col Bambino di Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 – Mantova, 1506) conservata al Museo Poldi Pezzoli di Milano da renderla particolarmente difficile da giudicare: autore del restauro è stato uno dei più grandi pittori del primo Ottocento italiano, Giuseppe Molteni (Milano, 1800 – 1867), che però era intervenuto sull’opera in maniera invasiva, tanto che risultava impossibile capire a quale periodo dell’attività di Mantegna risalisse il dipinto. Si tratta di una delle opere più intime dell’artista veneto, parte di una produzione destinata alla devozione privata

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Le tombe medicee di Michelangelo: nuova luce

Firenze, la Sagrestia Nuova, capolavoro di Michelangelo, riportata a condizioni di luce simili a quelle ideate dal genio

Finestre sull’arte, 19-2-2019

La Sagrestia Nuova, vista con la tomba di Lorenzo duca d'Urbino. Ph. Credit Andrea Jemolo

A Firenze, la Sagrestia Nuova, capolavoro di Michelangelo, è stata riportata a condizioni di luce simili a quelle ideate dal grande artista toscano grazie a un sapiente “restauro della luce” compiuto in maniera filologica e rispettosa della storia dell’edificio

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Un restauro esemplare: l’Epifania di Leonardo che sconvolge il genere umano

L’Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci: parlando con Marco Ciatti dell’opera e del restauro

di Federico Giannini, Finestre sull’arte, 5-7-2017

Leonardo da Vinci, Adorazione dei Magi

L’Adorazione dei Magi, capolavoro di Leonardo da Vinci, ha subito un lungo restauro. Ne abbiamo parlato con chi lo ha diretto, Marco Ciatti, Soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure.

I Canonici Regolari di Sant’Agostino probabilmente non immaginavano che il dipinto che avevano commissionato a Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 – Amboise, 1519) nel 1481 non sarebbe mai stato terminato. Anzi: attesero per anni che il grande genio del Rinascimento facesse ritorno a Firenze per portare a compimento la sua Adorazione dei Magi, che i frati volevano destinare alla chiesa di San Donato in Scopeto, poi distrutta poco prima dell’assedio del 1529.

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La via Appia, una delle più affascinanti strade del mondo

La lezione della Regina viarum

di Rita Paris, Left, 12-6-2020

Venti anni fa, l’estate del 2000 ha segnato l’inizio di una nuova vita per l’Appia, con le aperture del complesso del Mausoleo di Cecilia Metella e il medievale Palazzo Caetani, la Villa dei Quintili, i restauri della strada e di alcuni monumenti funerari che la fiancheggiano, la ricucitura della Via Appia, grazie all’interramento delle corsie del GRA. Questi interventi sono stati realizzati con i finanziamenti straordinari per il Grande Giubileo 2000, come risorsa aggiuntiva anche per il patrimonio storico artistico diffuso della città. Nei tempi brevi imposti dall’evento, con un team di professionisti della Soprintendenza ed esterni, si sono portati a compimento progetti a carattere stabile, per una effettiva fruizione pubblica.

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Un grande restauro nel Camposanto di Pisa

Il Trionfo della Morte, il capolavoro di Bonamico Buffalmacco nel Camposanto di Pisa

di Antonio Paolucci, Finestre sull’arte, 22-5-2020

Bonamico Buffalmacco, Trionfo della Morte (1336 circa; affresco, 564 x 1497 cm; Pisa, Camposanto Monumentale)

Dopo un restauro durato più di settant’anni, il Trionfo della Morte di Bonamico Buffalmacco, il grande affresco che decora una delle pareti del Camposanto Monumentale di Pisa, è stato consegnato, nel 2018, a condizioni di leggibilità soddisfacenti, che ci permettono di comprendere pienamente di trovarci davanti a una pittura fortemente espressiva, tra i vertici del Trecento.

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Il terremoto copme “opportunità” per “affermare una cultura architettonica della ricostruzione”? Ma scherziamo?

Prima il sisma, poi il ministero. Così si distrugge una chiesa

di Tomaso Montanari, Fatto Quotidiano, 27-1-2020

C’è qualcosa di avvoltoiesco, di sciacallesco, nel salutare come un’«occasione» la distruzione di una chiesa storica ad opera di un terremoto che fece in tutto ventisette vittime. Leggi tutto “Il terremoto copme “opportunità” per “affermare una cultura architettonica della ricostruzione”? Ma scherziamo?”

Cosa si cela spesso dietro il mecenatismo disinteressato

Venezia. Ai Giardini Reali i mecenati di se stessi raccolgono i frutti dell’art bonus

di Paolo Somma, Emergenza cultura

Risultati immagini per venezia giardini ex reali

Il 17 dicembre si è svolta, alla presenza del ministro Dario Franceschini, la cerimonia di “restituzione alla città” dei Giardini Reali.

Voluti da Napoleone e completati durante la dominazione austriaca, i giardini passarono poi al regno d’Italia (nel 1918 la regina vi si intratteneva con i mutilati di guerra) e il 23 dicembre 1923 furono dal demanio dello stato assegnati  “in uso all’ente locale affinché fossero aperti al pubblico”. Leggi tutto “Cosa si cela spesso dietro il mecenatismo disinteressato”