Vieni a cena al museo? Iniziative per la valorizzazione dei Beni Culturali

Cene eleganti al museo di Ascoli

Tomaso Montanari in blog Articolo9 Repubblica.it 17-1-2018

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Guardate questa fotografia. Non è un remake di provincia di Eyes Wide Shut: è che, per ragioni di privacy, bisognava cancellare i volti di queste dame e di questi cavalieri fieri di mostrarsi a banchetto, subito prima di Natale, nella stretta galleria della Pinacoteca dei Musei Civici di Ascoli.

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Una lettura illuminante sulla trasformazione del patrimonio culturale pubblico.

Privati del patrimonio

Tomaso Montanari

Editore: Einaudi
Collana: Vele
Anno edizione:2015
Pagine:XV-167 p., Brossura
  • EAN: 9788806218973

Sono vent’anni che, in Italia, la politica del patrimonio culturale si avvita sulla diatriba pubblico-privato: brillantemente risolta socializzando le perdite (rappresentate da un patrimonio in rovina materiale e morale) e privatizzando gli utili, in un contesto in cui le fondazioni e i concessionari hanno finito per sostituire gli amministratori eletti, drenando denaro pubblico per costruire clientele e consenso privati. Ma cosa ha significato, in concreto, la “valorizzazione” (o meglio la privatizzazione) del patrimonio? Quali sono la storia e i numeri di questa economia parassitaria, che non crea lavoro dignitoso e cresce intrecciata ai poteri locali e all’accademia più disponibile? Ed è vero che questa è la strada seguita nei grandi paesi occidentali? Tomaso Montanari risponde a queste e altre domande spiegando perché non ci conviene distruggere il governo pubblico dei beni culturali basato sul sistema delle soprintendenze: un modello che va invece rafforzato e messo in condizione di funzionare, perché è l’unico che consente al patrimonio di svolgere la sua funzione costituzionale. Che è quella di renderci più umani, più liberi, più uguali.

A Vigevano riaprono altre stanze nel Castello

Vigevano, dopo 500 anni riapre la stanza della duchessa in Castello

Riaprono le Stanze di Beatrice d'Este nel Castello di Vigevano

Due nuovi spazi arricchiscono la visita del Palazzo dei Duchi nel Castello di Vigevano. Dopo gli ambienti delle feste e degli spettacoli di corte riaperti ad aprile 2017, vengono adesso resi accessibili dal Comune di Vigevano – al termine del restauro – le stanze di Beatrice d’Este. I due preziosi locali fanno parte della “ala al femminile” del Castello di Vigevano, voluta da Ludovico il Moro e progettata da Donato Bramante come “nursery” della Duchessa (La Loggia delle Dame e il Giardino pensile), come alloggi delle ancelle, come spazi privati per gli armadi, i vestiti, le collezioni d’arte di Beatrice d’Este. Sabato 27 e domenica 28 gennaio per chi volesse visitarle il racconto di come erano in origine quelle stanze, l’animazione con proiezioni e installazioni sulla duchessa di Milano inventrice della moda italiana e collezionista di smalti, avori, vetri, acque profumate. L’iniziativa è organizzata dal nuovo Infopoint Vigevano la cui gestione è affidata dal 1 ottobre 2017 ad una associazione temporanea di imprese che si è aggiudicata il bando del Comune per la durata di quattro anni. Capofila l’azienda vigevanese di trasporti Stav insieme a Frigerio Viaggi tour operator di Milano e alla impresa Erre4 titolare del sito www.visitvigevano.it. Per informazioni 3293194342 r4inrete@gmail.com (Video Sacchiero)

da: La Provincia Pavese

 

Una interessante riflessione sui presunti successi della riforma dei musei

Per una lettura ponderata dei 50 milioni di visitatori nei musei: ecco i veri effetti della riforma

in Finestre sull’arte

Nei giorni scorsi, il ministro Dario Franceschini ha sciorinato, con toni decisamente enfatici, i dati relativi agli afflussi nei musei italiani nel 2017: si parla d’un primato di 50 milioni di visitatori che, lo scorso anno, si sono recati nei nostri istituti statali, garantendo incassi che hanno superato i 193 milioni di euro. Cifre che mai s’erano toccate prima: pertanto, non si vuol negare al ministro la constatazione d’aver fatto siglare un record di visitatori e d’introiti mai toccato da quando sono cominciati i rilevamenti statistici del Ministero dei Beni Culturali (e del quale siamo tutti contenti). Tuttavia, al di là dei semplici trionfalismi, che non ci appartengono, è quanto mai doveroso contestualizzare i dati per fornire una lettura che sia la più possibile imparziale e oggettiva, che non si limiti a riportare in modo acritico i grafici che giungono dall’ufficio statistiche del ministero e, viceversa, cerchi d’interpretarli onde verificare se davvero i risultati sono merito, come il ministro ha dichiarato in avvio del comunicato stampa, della riforma Renzi-Franceschini, oppure in quali modi la riforma abbia effettivamente condizionato i flussi dei visitatori.

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Musei anno record: come leggere i dati

Il record dei musei e quello del giornalismo

Rispondo con molto piacere all’esemplare giornalista Marco Frittella, che ritwitta questo cinguettio del Mibact: «Il bilancio della riforma dei #museitaliani è eccezionale: in 4 anni +12 mln di visitatori (+31%) e +70 mln di euro di incassi (+53%). Risorse preziose per la tutela che tornano ai musei con un sistema che premia le migliori gestioni e garantisce le piccole realtà”», chiosandolo così: «Non ditelo a @tomasomontanari, gli dareste un dolore». E lo tranquillizzo: caro Frittella, grazie del pensiero. Ma, davvero, ho avuto dolori peggiori. Per esempio mi addolora che tanti giornalisti italiani preferiscano servire come ufficio stampa del potere invece che provare ad esercitare un minimo di senso critico.

Nel caso specifico di fronte alla grancassa di Dario Franceschini un quarto potere degno di questo nome potrebbe farsi come minimo tre domande.

La prima, per chi amasse ancora un po’ il giornalismo di inchiesta: come sono raccolti questi dati? Quanto sono attendibili quelli, per esempio, delle domeniche gratuite? Quanto sono verificabili i dati differenziali di siti senza uno storico di accessi degli anni precedenti? Quanto ci si può fidare dei concessionari titolari delle biglietterie. Assicuro che le sorprese non mancherebbero.

La seconda, per un giornalismo culturale ancora degno di questo nome. Qual è il senso di questo trionfalismo in un Paese che non riesce ancora a tirar su le macerie del patrimonio culturale del cratere del sisma dell’Italia centrale? Nel Paese in cui una città come Napoli ha oltre duecento chiese monumentali chiuse? Nel Paese con un’enorme fuga di cervelli di archeologi e storici dell’arte e in cui il Mibact ricorre su larga scala allo schiavismo mascherato da volontariato? Nel Paese in cui quegli stessi musei sono scatole vuote, incapaci di fare ricerca e di produrre conoscenza. Non sarebbe forse il caso di allargare la focale e rimettere in contesto l’autoelogio di Franceschini?

E poi la terza. La più semplice, la più centrale. Ammettiamo che tutti i dati siano veri e che siano degni di tanta lode: siamo però sicuri che il destinatario degli elogi dovrebbe essere colui che oggi chiama così fragorosamente gli applausi?

E cioè: qual è il nesso tra il record dei musei e la riforma dei musei? I dati presenti sulla pagina delle statistche Mibact certificano ciò che tutti gli addetti al lavoro sanno: il trend dei visitatori dei musei italiani è in crescita costante dal 2000 ad oggi, senza interruzioni e senza impennate. E nessuno dei visitatori attuali va al Colosseo o agli Uffizi perché c’è stata la riforma Franceschini. Se avessero avuto un ufficio stampa altrettanto buono, anche Sandro Bondi o Giancarlo Galan avrebbero potuto rivendicare la loro fetta di incremento (del tutto indipendente dal loro discutibile operato, ovviamente). La controprova? Lo stesso trend di aumento riguarda i Musei Vaticani: sui quali non credo che la riforma Franceschini possa granché (Deo gratias). Sarebbe possibile (e interessante) ricostruire la storia degli accordi sindacali che hanno permesso di prolungare gli orari di apertura dei vari monumenti e musei: gli unici interventi dei vari ministri che abbiano davvero inciso su numeri altrimenti dettati dai flussi internazionali del turismo. A proposito dei quali, forse sarebbe il caso di domandarsi se la crisi del turismo in Francia, Spagna e Nordafrica legata al terrorismo internazionale e il conseguente boom del turismo italiano non abbiano contato appena più della riforma Franceschini nell’aumentare gli ingressi degli ultimi mesi nei musei italiani.

Ma mi rendo conto che un giornalismo che si facesse e facesse tutte queste domande rischierebbe di dare un dolore al ministro Franceschini. È forse per questo che si leggono davvero pochissime analisi critiche come questa, assai equilibrata e seria, di Gregorio Botta.

Molto meglio ritwittare i cinguettii del signor ministro, e prendersela con quei pochi gufi disfattisti che proprio non vogliono capire che viviamo sotto il migliore dei governi possibili.

Tomaso Montanari, blog Articolo 9, La Repubblica, 6 grnnaio 2018

Beni culturali

Musei e visitatori, le cifre che sballano

Patrimonio. Fuori dal tartassamento mediatico e dai proclami pre-elettorali, come leggere i dati della crescita del consumo culturale. E l’appello di ex soprintendenti, docenti, archeologi, magistrati e ambientalisti che smaschera il caos della riforma Franceschini

 

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