I musei sono pubblici, ma gli interessi privati
Tomaso Montanari
Ebbene, oltre a una serie di rilievi formali, il supremo organo della nostra giustizia amministrativa, pur approvando la norma, esprime una critica di merito alla linea politica del governo: “In relazione a quanto sopra, va peraltro considerato che si tratta di disposizioni che non impattano solo sui beni culturali ma si riflettono anche sul mercato del cosiddetto turismo culturale, che presenta rilevanti profili di carattere economico e occupazionale connessi all’imponente numero di visitatori dei luoghi della cultura. Sotto tale aspetto occorrerebbe assicurare non solo un adeguato ed efficace coordinamento tra i diversi uffici pubblici coinvolti, ma anche una consultazione con i soggetti privati interessati (c.d. stakeholder)”.
Per concludere che: “Al fine di rendere significativi tali dati, valuti l’Amministrazione l’opportunità di inserire ulteriori strumenti (ad esempio questionari all’ingresso dei visitatori non paganti) che, ad esempio, consentano di rilevare la provenienza dei beneficiari (residenti o turisti), la fascia di età e altri elementi utili a valutare i riflessi sul sistema economico”.
In pratica, il Consiglio di Stato dice al ministero che gli accessi gratuiti alla Reggia di Caserta devono essere concertati con i produttori di mozzarelle, quelli degli Uffizi con gli albergatori fiorentini, quelli dell’Accademia di Venezia con le compagnie delle Grandi Navi da crociera e così via. In altre parole, i magistrati invitano a compiere un altro tratto sull’autostrada della privatizzazione del patrimonio culturale e delle sue politiche: e appare evidente che, per loro, la “valorizzazione” di cui parla la Costituzione al Titolo V e il Codice dei Beni culturali va intesa nell’accezione del discorso pubblico più sbracato e della politica più superficiale, cioè come estrazione di reddito monetario privato dai beni comuni. Così non è, visto che l’articolo 6 del Codice dei Beni culturali ha sancito che “la valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale […] al fine di promuovere lo sviluppo della cultura”.
Se dunque il Consiglio di Stato avesse voluto richiamare il governo alla giusta pratica della concertazione avrebbe dovuto ricordargli, semmai, che i primi e veri portatori di interesse sono le scuole, le università, le associazioni culturali, le associazioni dei cittadini più svantaggiati per ragioni fisiche, economiche e culturali e così via. Perché i musei non sono (ancora) supermercati: con buona pace del Consiglio di Stato.
FQ | 12 dicembre 2018