La pochezza degli allestimenti temporanei in ambienti storici

Fabio Antonio Grasso, L’architettura “balneare” delle città italiane: il naufragio

Nella foto, porta san Biagio a Lecce

Effimero e temporaneo. Attorno al sistema doppio di queste parole si addensa la maggior parte dei danni nelle nostre città, i peggiori interventi negli spazi pubblici.

«Durano pochi giorni» replicano i difensori del temporaneo; «Lo toglieremo presto» insistono. E con questa scusa siamo costretti a sorbirci le peggiori opere di scultura, come a Firenze (soprannominati i “Merdoni di Nardella”) e peggio ancora addirittura inquietanti padiglioncini pubblicitari. Quello che conta, in effetti, è solo il fare cassa e in questo senso il caso dei dehors, le scatolari appendici esterne di bar e ristoranti, è strabiliante. Oramai la commercializzazione dello spazio pubblico ha oltrepassato il buon senso e il buon gusto come ad esempio a Otranto (Lecce) dove in un celebre belvedere, quello detto “dei bastioni”, la maggior parte dello spazio pubblico è occupato dai tavoli di un ristorante lasciando ai cittadini appena un corridoio di poco più di un metro lineare e il panorama si può osservare solo in fila indiana (per uno). In questi giorni, sempre a Lecce, un padiglione è stato temporaneamente piazzato davanti alla porta urbica tardo-settecentesca di san Biagio disturbandone la vista. Abbiamo chiesto un appuntamento nello scorso agosto per affrontare tale argomento (dehors e spazio pubblico) con la soprintendente SABAP di Lecce ma da allora nessuna risposta perché si preferisce evidentemente navigare a vista e forse neanche questo, a giudicare da quello che registriamo nelle città salentine. Ci chiediamo, a questo punto, se sia legittima questa temporanea sospensione della bellezza che è di tutti i cittadini. Per quale ragione, poi, certi canali prospettici storici e storicizzati debbono essere contaminati, interrotti (come accade sempre a Otranto con Porta Terra) da quei tragici dehors, inquietanti acquari, che, per il cattivo funzionamento dell’impianto di condizionamento finiscono con il perdere, causa condensa sui vetri, la loro trasparenza diventando blocchi opachi?

Chi pratica il temporaneo in questo modo di fatto non ha nessuna conoscenza neanche del concetto di effimero e di ciò che nella storia dell’arte tale termine ha significato. Spesso, in effetti, la cessione di suolo pubblico per le attività si trasforma in una forma di “vendita dell’indulgenza”, lo strumento di scambio fra politici e titolari di attività con il tacito assenso di altre istituzioni statali. Di fatto il vero problema non è la temporaneità di dehors et similia, ma quella particolare temporaneità delle menti che non è in grado di ritenere e filtrare la storia delle nostre città. Esattamente è la medesima sotto-cultura, come è capitato ancora a Lecce, che propone come innovativo un luogo definendolo di co-drinking quando in effetti è solo e ancora un bar o una vineria. Usare l’espressione “effimero architettonico”, per i casi appena segnalati, significherebbe fare un torto alla cultura Barocca ad esempio e, in tempi più recenti, a Renato Nicolini. Meglio sarebbe definire la sub-cultura – quella che in filigrana si legge attraverso i dehors, il termine “co-drinking” per il bar, l’uso sconsiderato dello spazio pubblico- come l’espressione di un’architettura balneare, (e in più: infantile, tutta paletta e secchiello) esattamente come certi governi nei peggiori anni della nostra storia repubblicana.

 

 

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