Il TAR dà torto a Franceschini: non è il capo dell’amministrazione

L’uomo Vitruviano non va a Parigi: stop a Franceschini

di Tomaso Montanari, FQ 9-10-2019

Dopo il ricorso di Italia Nostra, il Tar del Veneto ha sospeso il trasferimento del disegno per la mostra che verrà inaugurata al Louvre il 24 ottobre. Il ministero: “Decisione incomprensibile” 

Ieri il presidente della sezione seconda del Tar del Veneto ha stabilito che, per ora, Leonardo non va in Francia. Il decreto ha sospeso l’efficacia sia del provvedimento del Direttore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, sia (più clamorosamente) del memorandum d’intesa tra il ministero per i Beni Culturali italiano e il ministero della Cultura francese firmato dal risorto Dario Franceschini il 24 settembre scorso. Quest’ultimo – recita il decreto, entrando decisamente nel merito – “per la parte in cui viola il principio dell’ordinamento giuridico per cui gli uffici pubblici si distinguono in organi di indirizzo e controllo, da un lato, e di attuazione e gestione dall’altro”. La camera di consiglio è fissata alla prossima settimana (esattamente al 16), abbreviando i tempi per decidere nel merito prima della data dell’inaugurazione della mostra (24 ottobre). È una (prima e parziale, epperò significativa) vittoria di Italia Nostra, che con la sua sezione veneziana non si è arresa di fronte alla prepotenza del ministro per i Beni culturali e ha deciso di adire la via della giustizia amministrativa.

La benemerita associazione che combatte per la tutela del patrimonio culturale, ha fatto notare che il disegno di Leonardo è fragilissimo e appartiene al fondo principale del museo veneziano (perché riconosciuto tale in una lista ufficiale redatta dalla direzione precedente): e dunque rientra doppiamente tra le opere d’arte che “non possono comunque uscire” dal territorio della Repubblica, neppure temporaneamente (così la legge: cioè il comma 2 dell’articolo 66 del Codice dei Beni Culturali). Non sapendo come aggirare queste inaggirabili prescrizioni, il provvedimento del direttore dell’Accademia seguiva la tattica più italiana: faceva finta di nulla. Per questo Italia Nostra scrive nel ricorso che “non aver motivato circa l’appartenenza del bene di cui si discute al fondo principale delle Gallerie dell’Accademia rende l’atto impugnato affetto da eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza della motivazione”. Ma non si tratta di una questione “solo” procedurale: l’opera è davvero troppo importante e troppo malridotta perché anche questa volta si possa fare come se la legge non ci fosse. L’associazione ha potuto accedere ai documenti interni del museo, che parlano assai chiaro: “L’ipotesi di mostrare il foglio nell’autunno dello stesso anno al Louvre, quindi in un arco temporale brevissimo, contravvenendo alle norme tecniche e conservative illustrate sopra, sottopone il disegno a un rischio elevato ed eccessivo non giustificabile e sostenibile per un’opera di tale rilevanza” (così il funzionario responsabile del Gabinetto Disegni e Stampe delle Gallerie dell’Accademia, Valeria Poletto).

Ma la parte più importante – cioè quella che ha più ricadute per l’intero governo del patrimonio culturale – è la parte in cui il ricorso afferma che un ministro non può, in un accordo internazionale, impegnare l’amministrazione di cui è non il capo ma l’organo politico: “Un ministro della Repubblica Italiana non avrebbe mai dovuto adottare un atto che impegna l’amministrazione dei beni culturali verso l’esterno, disponendo direttamente di risorse patrimoniali, economiche, organizzative, strumentali e di controllo”. Come riconosce il decreto del Tar (in un passaggio che dovrebbe interessare la Procura della Repubblica di Roma), firmando il Memorandum italo-francese, Franceschini ha violato la Legge Bassanini, che impedisce di estendere la discrezionalità politica nel campo delle decisioni amministrative che, nel caso dei Beni Culturali, si formano su base tecnico-scientifica (ma il comitato tecnico scientifico competente è stato tenuto accuratamente alla larga da questo prestito).

La nota diffusa dal Mibact dopo la sospensione sostiene che il Memorandum sia stato redatto solo dopo gli atti amministrativi: una difesa smentita dalla data del provvedimento dell’Accademia (del 30 settembre: sei giorni dopo) e da una lettera del direttore generale dei Musei al direttore dell’Accademia (20 settembre) in cui si “suggerisce” che, a valle di un accordo politico diplomatico, la direzione del museo avrebbe potuto rimangiarsi il no tecnico. Un abuso in piena regola.

Lo stop del Tar potrebbe essere un primo passo per ripristinare la legalità e affermare anche giudiziariamente che la politica non può fare del patrimonio culturale della Nazione quello che vuole: non può piegare scienza e coscienza dei funzionari. Una norma di civiltà, che però è stata finora calpestata dall’invadente cesarismo su cui Dario Franceschini ha fondato la sua conquista politica del patrimonio culturale italiano. Ci sarà un giudice a Venezia? Lo capiremo presto.

 

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