E’ presuntuoso credere di accrescere il valore di un’opera come il Tondo Doni.
Il Direttore degli Uffizi Eike Schmidt davanti al Tondo Doni. Ph. Turismo Italia News
Uffizi, il Tondo Doni nel vecchio allestimento
Infuriano le polemiche e le discussioni sul nuovo allestimento del Tondo Doni agli Uffizi
Sparite le pareti rosso cardinale che ospitavano il Tondo, la stanza trova una sua cifra minimale anche dal punto di vista dei colori e dei supporti. Il doppio Ritratto di Agnolo Doni e Maddalena Strozzi, ad esempio, è sospeso (o intrappolato?) tra cliniche lastre di vetro (dal sapore un po’ didattico, in verità), mentre altri dipinti sono inserite in nicchie rettangolari, che un chiaro gusto per la “confezione” ha ritagliato in mega pannelli laterali, asettici anch’essi, ancorché molto presenti.
Ripensato anche il colore. Muri reinventati radicalmente da un grigio chiaro, morbidamente steso per aumentare la luce e archiviare la patina classica delle tipiche raccolte museali storiche. Spazio freddo, neutrale, contemporaneo.
Infine, con un colpo d’occhio che ha scatenato polemiche, lo strepitoso Tondo Doni si ritrova incastonato in una nicchia circolare profonda, grigia anch’essa, imponente come un occhio piazzato in mezzo a un tempio. Impossibile non azionare l’immaginazione. L’oblò di una lavatrice, un possente subwoofer, un’opera di Anish Kapoor, un tiro al bersaglio, l’espositore di un negozio di cosmetici super chic o di una gioielleria, la finestra di una casa futuristica in un film di fantascienza Anni Settanta. Insomma, nulla che rimandi a un museo, a una collezione cinquecentesca, a certe architetture aristocratiche o religiose. (Helga Marsala in Art Tribune, 6-6-2018)
Perchè così non si poteva leggere e rileggere come era prima? Non dico che non bisogni mai cambiare la posizione delle opere e l’allestimento delle sale, ma la spettacolarizzazione proposta a volte mi sembra gratuita e fatta giusto per far parlare di sé e dell’allestimento invece che per fornire ai visitatori uno strumento in più per comprendere il silenzioso, anzi silenziosissimo, linguaggio delle opere. Interessanti quindi gli accostamenti con la testa di Alessandro e le opere di Raffaello, storicamente e criticamente assai pertinenti (confronti analoghi e altrettanto seducenti erano d’altronde presenti nel precedente allestimento).
Ma forse che Michelangelo necessitava di una nuova cornice, che tra l’altro svilisce la sua autentica e bellissima, per essere letto? Per essere capito? per essere apprezzato???? Che l’essere inserito in quel contenitore ne aumenti il valore e la leggibilità? A me sembra che si sposti in tal modo l’attenzione, soprattutto agli occhi del visitatore, che spesso è “sprovveduto” , dal quadro alla cornice, capovolgendo e magari annichilendo o smorzando la capacità di trasmettere senso dell’opera stessa. Quindi, in definitiva, si diseduca a leggere l’opera, cioè il contenuto, fissando l’attenzione sulla cornice, il contenitore. Se il contenitore fa aggio sul contenuto si rischia di smarrire il messaggio dell’opera, la sua formidabile potenza evocativa ed educativa. Rimane quasi solo la possibilità di interpretare criticamente il contenitore, esercizio che stiamo facendo, ma che è povera cosa rispetto alla riflessione su Michelangelo. In pratica oggi vediamo più Eike Schmidt che il fiorentino, e tutto sommato Eike Schmidt non ha minimamente lo stesso interesse. Più che aiutarci a interpretare la storia finisce per manipolarla. Il che può essere corretto in un museo d’arte contemporanea, ma non nei confronti di un’opera del passato, dove la riflassione storico-critica ha una funzione ineludibile.
Michelangelo non ha bisogno di orpelli, ma solo di una corretta esposizione. La sua forza centrifuga è tutta nell’opera, e innesta un moto perpetuo che innerverà la pittura per ceninaia di anni. Nessun elemento esterno può aumentare questa forza dirompente.
Così trattata una delle opere più sconvolgenti della storia della pittura è giustamente ridotta al rango di oggetto di irrisione sui social forum. A ogni direttore il suo pubblico. Peccato che chi ci rimette sia la collettività, che vede svilita una delle più preziose opere che il direttore (qui grazie alla riforma franceschini) ha trattato come se fosse un gadget di lusso da mettere in vetrina. Inammissibile.
parole sante!!!!!!!!! Scarpa e Michelucci chiedano a un angelo di smotare la lavatrice e mandino la Scmidt a dirigere un supermercato.
Paolo Portoghesi