“Il Lisippo è dell’Italia”, la Cassazione rigetta il ricorso del museo Getty: “Confisca contraria a diritto internazionale”
Martina Milone
Intanto però, il museo della West Coast, tramite un comunicato stampa, ha fatto sapere che non intende restituire la statua. “Riteniamo che qualsiasi ordine di confisca sia contrario al diritto americano e internazionale”, si legge nella nota che sottolinea comunque la cooperazione in ambito culturale tra i due paesi. “Difenderemo il nostro diritto legale ad avere l’opera”, continua il documento scritto dalla responsabile comunicazione della compagnia filantropica J. Paul Getty Trust, che ripercorre la storia dal punto di vista Usa. Secondo gli americani, infatti, il bronzo sarebbe stato pescato in acque internazionali, senza alcuna evidenza che “questo appartiene all’Italia”. In ogni caso, secondo le leggi del tempo, l’esportazione dell’opera sarebbe stata illegale, sia che questa fosse stata ritrovata in acque nazionali che internazionali, perché comunque ripescata da un’imbarcazione battente bandiera italiana.
Dal ritrovamento all’ultima sentenza: una storia lunga 51 anni – Nel 1964 il peschereccio “Ferruccio Ferri” di Romeo Pirani, pescatore fanese morto nel 2004, trova la statua. Il luogo della scoperta è tutt’ora incerto, ma secondo il racconto dell’equipaggio, la scultura si trovava sul fondale di una zona al largo del Monte Conero, chiamata “Scogli di Pedaso”. Dopo aver issato l’opera sull’imbarcazione, Pirani sotterra il bronzo in un campo di cavoli, mette in circolazione la fotografia e vende la statua. I racconti sono imprecisi e, soprattutto, senza nomi, ma parlano di una vendita di 3 milioni e 500mila lire. Da qui i contorni della storia si fanno meno nitidi.
La statua viene cercata e per la sua sparizione vanno a processo quattro persone, tre commercianti di Gubbio Pietro, Fabio e Giacomo Barbetti e don Giovanni Nagni. Dopo quattro anni di udienze gli imputati vengono assolti in secondo grado a Roma il 18 novembre 1970. Impossibile, secondo i giudici, accertare l’interesse artistico, storico e archeologico della statua, nel frattemposcomparsa. Nel 1974 l’opera riappare al Museo Getty che l’ha pagata 3,9 milioni di dollari. Come questa sia arrivata negli Stati Uniti entrando a far parte della collezione, però, resta un mistero. Secondo lo storico fanese Alberto Berardi l’Atleta lascia Gubbio con una spedizione di forniture mediche inviate in Brasile ad un missionario parente dei Barbetti e acquistata alla morte di Paul Getty dopo essere restaurata al Dorner Institut di Monaco.
Le indagini comunque si interrompono per anni, fino al 1990, quando il ministero dei Beni culturali italiano segnala a quello degli Esteri che un nuovo frammento del Lisippo è stato dissotterrato dal campo di cavoli di Carrara di Fano. La battaglia Italia – Usa, però, si riapre solo con il ministro Rocco Buttiglione. Una prima conquista avviene nel 2006, quando il vice premier Francesco Rutelli vince un braccio di ferro con il Getty, ottenendo la restituzione di 39 opere esportate illegalmente, fra cui la Venere di Morgantina. L’Atleta di Fano, chiamato “Victorius Youth” dagli americani, viene però trattenuto. La città di Fano e la regione Marche non accettano la mancata restituzione e nel 2007, l’associazione culturale Le Cento Città presenta un esposto alla procura di Pesaro per violazione delle norme doganali e contrabbando.
Il procedimento giudiziario prosegue per anni, fino a quando il gip Lorenza Mussoni nel 2009 dichiara il bronzo “patrimonio indisponibile dello Stato” e nel 2010 dispone il sequestro dell’opera. Inutili le battaglie e i ricorsi del museo statunitense, oggi nuovamente invitato alla restituzione della statua di Lisippo.
FQ, 4.12.2018
Pieno di inesattezze gli scoglietti di Pedaso stanno a largo di Pedaso e molto più a sud del monte conero esattamente 45 miglia a largo della costa di Pedaso zona molto amata anche da chi pratica bollenti o di profondità proprio per via della profondità fu ripescato lo da un peschereccio di Fano e portato a fano
Buongiorno, come sempre ogni precisazione è benvenuta.
Allego un’intervista a uno dei ritrovatori
Lisippo, parla l’uomo che pescò la scultura. “Ci guadagnai ben 120mila lire”
Athos Rosato, fanese, 70 anni. “Sono stato io a toccarlo per primo, all’inizio ho pensato ad un morto”
di ROBERTO DAMIANI
Fano, 23 ottobre 2017 – Lui è Athos Rosato, settant’anni, fanese e molte vite alle spalle. Tra le tante, anche quella di mozzo nel peschereccio ‘Ferruccio Ferri’ che impigliò nella rete l’‘Atleta vittorioso’ meglio noto come il Lisippo. “Me lo ricordo bene. Era luglio del 1964. La mia parte è stata di 120 mila lire. Mia mamma ci ha pagato tutti i debiti”.
Come ci faceva in quella barca?
“Avevo 15 anni, e facevo il mozzo. A casa non c’era da mangiare. Andavo per mare con la ‘Ferruccio Ferri’. Quando abbiamo issato la statua a bordo, sono stato io a toccarla per primo. Ho pensato ad un morto. L’abbiamo messa a poppa. Pesava settanta-ottanta chili, era tutta coperta di ostriche e fanghiglia. Le mancavano i piedi, ma il fondo delle gambe luccicava perché si erano appena staccate dal basamento”.
Cosa avete pensato di avere per le mani?
“Eravamo tutti ignoranti, non pensavamo niente se non che si poteva vendere a qualcuno e ricavarci dei soldi. Come si faceva con le anfore che pescavamo. L’equipaggio si divideva la vendita, prendendo otto parti. Solo due andavano all’armatore. Col pescato invece si divideva a metà. Il Lisippo l’abbiamo anche scheggiato sopra l’ombelico con un pezzo di ferro. Volevamo togliere le alghe. C’è ancora adesso il segno. Quando sono andato a Malibù a vederla, ho riconosciuto la raschiatura”.
Dopo la pesca, cosa avete fatto?
“Abbiamo messo la statua in piedi, appoggiata, davanti alla ghiacciaia. Ma il rientro in porto, invece di farlo alle cinque di mattina, l’abbiamo fatto alle 2, insomma prima del solito per non dare nell’occhio. Qualcuno ha portato un carrettino e noi abbiamo scaricato il Lisippo mettendolo steso, coprendolo con delle reti rotte. Mentre scaricavo il pesce, qualcuno altro ha portato il Lisippo a casa di Valentina Magi, l’armatrice. L’hanno messo sul retro di casa, sotto le scale. Io poi non ho saputo niente fino a tre mesi dopo”.
Cosa le hanno detto?
“Mi ha chiamato mia mamma, perché ero imbarcato in una piattaforma, per dirmi che avevano ‘venduto la pupa’, e mi avevano dato la mia parte: 120 mila lire, la metà che hanno preso gli altri solo perché ero il più piccolo. Con quei soldi, mia mamma ci ha pagato tutti i debiti”.
Quando è tornato a casa, ha parlato con Pirani e gli altri marinai della barca?
“Sì, certo. Avevano fatto anche le fotografie della statua. L’avevano offerta all’edicolante vicino ai vecchi capannoni della carnevalesca, adesso non c’è più lui, e poi anche ad un noto artista della tv di quel tempo che veniva ogni tanto a Fano che disse di no, che non gli interessava. Poi è capitato Barbetti di Gubbio che aveva casa a Fano. Lo hanno portato a Carrara, dove l’avevano sotterrata. Era notte ma lui ha sentito solo il naso e ha detto che era un Lisippo. E gli hanno detto di portarlo via. L’ha pagato 3 milioni e mezzo di lire”.
Si è mai sentito in colpa per non aver denunciato il ritrovamento del Lisippo?
“Io no, avevo 15 anni ed ero senza una lira. Ma a conti fatti sta meglio a Malibù. Qui chissà dove sarebbe finito”.