Dudovich, l’enigma di Italo Balbo tra le nuvole
di Giorgio Fabre, ilmanifesto, 27-6-2021
Marcello Dudovich, pittura murale a tempera, 1931-’33, Ministero Aeronautica Italiana
A Roma, sede dell’Aereonautica militare, “Marcello Dudovich al tempo della committenza aeronautica, 1920-1940”, a cura di Maria Grazia Bella. Una mostra sorprendente, non per i celebri manifesti ma per alcune tempere a parete, rinate… Una serie onirica concepita per il ministero guidato dal leader fascista ucciso dal «fuoco amico» a Tobruk: qual è il suo significato?
In un certo senso è mozzafiato. Per altri versi, si tratta di un pezzo dell’Italia moderna davvero complicato (perfino troppo), ma affascinante. È ciò che affiora nella mostra organizzata dall’Aereonautica militare nella propria sede, l’ex ministero fatto costruire a Roma, in tempi rapidissimi, dal ministro Italo Balbo, tra il 1929 e il 1931, e perfezionato negli anni successivi.
La mostra è largamente dedicata al celebre e talentuoso cartellonista (ma anche vero artista) dell’Italia del Novecento, Marcello Dudovich. È ben più di una mostra monografica/personale: è piuttosto una ricostruzione (sotto alcuni aspetti anche un’esaltazione) di quello che fu il ministero di Balbo, di cui si celebra il novantesimo anniversario (nacque nel 1931). Ma si arriva soprattutto al 1934, quando Mussolini spedì (e allontanò) il brillante leader fascista in Libia a fare il governatore. La mostra si spinge poi anche ad illustrare il periodo successivo, di Balbo in Libia, fino a quando fu ucciso sul suo aereo dal «fuoco amico» dell’aviazione italiana a Tobruk il 28 giugno 1940: quindi anche sulla Libia non mancano molte opere e documenti interessanti e talvolta notevolissimi.
Ma la mostra è soprattutto incentrata sull’Aeronautica. Oggi basta leggere i ricordi molto acuti di Andreotti su Alcide De Gasperi (Sellerio, 2006), per capire che il mito Balbo e quello dell’aeronautica militare sono stati fortissimi, anche nella storia dell’Italia postfascista. Andreotti ha ricordato queste parole che De Gasperi disse nel 1947, parlando agli italiani in Usa: «Il prestigio delle crociere atlantiche sia verso il Nord America, fino a Chicago, sia di quella del Sud America, in Brasile, va alla nazione, non è un prestigio in camicia nera». Erano le celebri trasvolate del 1930-’31 e del 1933. Non era una valutazione da poco, venendo da un presidente del Consiglio noto e duro antifascista.
Ma alla mostra – purtroppo visibile, fino all’11 luglio, solo due giorni la settimana (sabato e domenica) e con prenotazione per piccoli gruppi – anche il catalogo è notevole: Marcello Dudovich al tempo della committenza aeronautica, 1920-1940, edito dall’Aeronautica militare con la Silvana editrice, e a cura della funzionaria che ha anche allestito tutta la mostra, Maria Grazia Bella. È superfluo parlare del Dudovich cartellonista, forse il più celebre pubblicitario italiano del Novecento, e di cui sono esposti i manifesti per la Rinascente, la Pirelli e la Dunlop, l’Olivetti e la Fiat, perfino per i lubrificanti, le Assicurazioni generali, i prodotti in scatola, gli stabilimenti balneari. Era un artista che giocava abilmente con tutto, donne, animali (persino elefanti), macchine, liquori, cappelli, crociere. Vedendo tutti insieme tanti manifesti, pubblicità, pagine di giornali, si rimane impressionati forse soprattutto per un motivo: era la rappresentazione di un mondo borghese senza dubbio affascinante e positivo; ma rappresentava un’Italia che, tra le due guerre mondiali, non era esattamente così, anzi: in gran parte era povera, perfino antiquata, non urbanizzata ma contadina e anche in enormi difficoltà strutturali, oltre che piena di diseguaglianze (si veda in proposito il recente ottimo saggio di Ilaria Pavan sulla micidiale «previdenza fascista» nel libro curato da Giulia Albanese, Il fascismo italiano, Carocci). Dudovich, con il suo aiuto Walter Resentera, si dedicarono abilmente anche al mondo rurale (per esempio una mostra sul pioppo), ma sempre con fulgide immagini eroiche che non erano proprio quelle dell’Italia di allora.
E invece quella del triestino Dudovich (1878-1962) era un’Italia post-umbertina, talentuosa e splendente di immagini e di protagonisti. Era disposto a tutto, o quasi, per piacere e avere successo nell’Italia ricca o almeno medio-borghese. Non solo o non tanto fascista, quindi, ma soprattutto moderna, veloce, abile e magari spiritosa, anche se proiettata in una dimensione irreale. Di qui si capisce molto meglio perché, nel dopoguerra, il «neorealismo» abbia a lungo cancellato quell’Italia del lusso, che aveva riguardato solo una parte della società, in gran parte distrutta dalla guerra. E perché lo stesso Dudovich, a quel punto, abbia avuto notevoli difficoltà.
Per non parlare di qualche altro particolare che colpisce: il celebre illustratore venne perfino chiamato all’estero a collaborare prima del 15-18 alla celebre rivista satirica tedesca «Simplicissimus»; ma continuò a collaborarvi ancora nel 1940, quando la rivista era sotto il regime nazista (si vedano, nel catalogo, le pagine 348-349). Per un altro verso, poi, Dudovich fu l’autore delle illustrazioni del libro (ma non della copertina) che provocarono nell’aprile 1934 l’avvio della censura libraria fascista da parte di Mussolini: si trattava di Sambadù amore negro di Mura, un libro ormai celebre vietato per l’ordine del duce e nel quale si raccontava la storia d’amore tra una ricca donna bianca e un colto uomo nero. Per questo, il libro illustrato da Dudovich, che aveva, come scrissero le circolari, offeso «la dignità di razza», venne esplicitamente cancellato, e con il libro le immagini dell’artista. Tra l’altro, Mussolini conosceva bene e di persona l’artista: il duce approvò per esempio la sua vittoria a un concorso per il bozzetto di un calendario del Pnf per il 1933; e, come mostra bene questo catalogo, sapeva alla perfezione del suo rapporto con Balbo. Dudovich era un inventore d’immagini davvero abile, che affrontava la città ma anche argomenti di regime, talvolta rischiosi (anche se all’epoca forse ancora un po’secondari), come appunto il razzismo antinero.
E adesso, dopo questa mostra, diventa molto più chiaro come proprio il divieto di Sambadù sia stato una lezione non solo per l’artista, ma per Balbo stesso, che nell’aprile 1934 era stato appena nominato Governatore della Libia e investito direttamente anche dei rapporti con gli africani, con cui in questa mostra lo si vede spesso in ottimi rapporti. Proprio l’episodio di Sambadù ci riporta infatti alla mostra. La parte più stupefacente e finora sconosciuta della produzione di Dudovich, qui esibita, sono alcuni affreschi che l’artista dipinse a tempera per quel ministero tra 1931 e 1933. Ora vengono mostrati al pubblico dopo un delicato e complesso restauro effettuato da Eleonora Baldo e Isabella Righetti. Non tutte quelle tempere realizzate dall’artista triestino si sono salvate. Erano nove, come ha ricostruito in un saggio Maria Alessandra de Caterina, e tutti collocate nella modernissima mensa e nel modernissimo «aerobar» al piano inferiore (una suggestione ricavata dagli allora recentissimi grattacieli americani, adorati dal gerarca). Ora se ne possono vedere in sostanza cinque, mentre tre non sono visibili, perché posizionati negli uffici, chiusi (un gran peccato). Di sicuro uno o forse due sono andati distrutti. Dudovich immaginò i piloti dopo la loro morte in volo, raffigurandoli in scene di vita quotidiana: gli aviatori si muovono tra le nuvole in compagnia di mogli e fidanzate, prendono un caffè, leggono un giornale. Mentre gli aerei delle trasvolate sovrastano le nuvole, su queste camminano cammelli e cammellieri, come se procedessero ancora nel deserto (e forse c’è anche una bella donna nera, che non è chiaro se fu rifatta). È presente pure un’orchestrina jazz e in un frammento distrutto (ma visibile in una vecchia foto in bianco e nero) c’era un miracoloso sassofonista, proiettato dall’aereo a testa in giù verso un castello. Fu criticato mentre forse Mussolini lo apprezzò, anche se pare chiaro che il castello sia – parrebbe quasi un piccolo sfottò – quello di Predappio.
È difficile dire che cosa tutti questi aerei rappresentino, e ci sono tuttora forti discussioni fra gli studiosi: storie di piloti morti in volo, e per questo proiettati sulle nuvole ma vivaci e goliardici? Forse, ed è certo strano perché sarebbero imprese brillanti dedicate a eroi defunti. Oppure fu una pura rappresentazione della varietà degli uomini di Balbo, come viene sostenuto adesso, forse perché questo cerca di vedere una sempre positiva Aeronautica militare? Difficile dire, ma è tutto molto strano, onirico, forse psicoanalitico, e di certo con pochi nessi con gli scenari urbani della cartellonistica.
Ci sono poi almeno due dettagli davvero singolari che colpiscono. Il primo sono le riconoscibilissime quattro stelle di Davide color oro, che si trovano sotto un pentolone nella tempera dell’«aerobar» intitolata Il bivacco (nel catalogo alla pagina 258). Perché proprio quelle stelle ebraiche? Il secondo è contenuto in un bel saggio dello studioso Enzo Di Martino su un carteggio di Balbo e che riporta (riprodotta a pagina 142) una lettera del Governatore a un pittore che aveva operato in Libia, Carlo Socrate. Di Martino non commenta, ma la lettera è del 27 settembre 1939 e Balbo criticava Socrate per aver dipinto al villaggio Crispi, in Tripolitania, un Cristo «esterrefatto e… giudaico!» E, per di più, non è l’ultimo antisemitismo che emerge da queste vicende complicate, sottili, filo- e, insieme, anti-mussoliniane. Davvero un misto non facile tutto questo di Balbo e ancor più quello di Dudovich. Forse qualche spiegazione in più, magari non fornita da un’Aeronautica molto direzionata, sarebbe stata molto utile.