Come si tradisce la Costituzione e si privatizzano i beni pubblici

Tomaso Montanari, La cultura senza più difese

Il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2018

Addio all’art.9

Se proviamo a tracciare una storia dell’attuazione dell’articolo 9 della Costituzione dobbiamo riconoscere che il primo momento – quello della difficilissima sfida

della ricostruzione postbellica del patrimonio culturale – rappresenta il punto più alto di una curva poi sempre in discesa. Una curva che non tornò a riprendersi nemmeno con l’infelice nascita del Ministero per i Beni Culturali (1975), che poi iniziò a precipitare con le privatizzazioni neoliberiste dei primi anni novanta, e che si è quindi definitivamente inabissata con le ‘riforme’ del ministro Dario Franceschini (2014-16).
In questa lunga storia di non-attuazione si possono distinguere due diverse fasi.
La prima (che arriva fino alla metà degli anni ottanta) è una storia di omissioni: una storia in cui la Repubblica non ha promosso abbastanza lo sviluppo della cultura e la ricerca, e non ha tutelato a sufficienza il patrimonio storico e artistico, a causa della superficialità di una classe dirigente incapace di comprendere il significato strategico (sul piano culturale e civile, ma anche su quello economico) di tutto questo, e dunque incapace di stanziare le risorse necessarie.
Nella seconda fase (quella che dagli anni ottanta arriva fino a noi) è lo Stato stesso ad entrare in crisi: anzi, ad essere progressivamente smantellato, prima teoricamente e poi di fatto. Paradossalmente, il ritardo culturale della classe politica italiana ha preservato a lungo il patrimonio culturale dalle conseguenze dello smontaggio neoliberista dello Stato: ma questa involontaria quanto provvidenziale franchigia è progressivamente venuta meno con l’inizio del nuovo secolo. Di fatto, l’ultimo quindicennio ha visto un precipitoso allineamento dei beni culturali a ciò che era già successo in altri settori chiave del ‘pubblico’ (si pensi alla sanità, o all’università): fino ad una fase estrema e recentissima in cui, di fatto, si è messo in discussione il significato stesso di parole come «cultura» o «tutela».
In quest’ultima, drammatica fase è forse possibile distinguere due segmenti diversi.
Il primo, caratterizzato dai governi di Silvio Berlusconi, ha eroso il secondo comma dell’articolo 9 minacciando soprattutto l’integrità della porzione pubblica del patrimonio storico e artistico della nazione, dando così una spallata pressoché letale all’esercizio della tutela, attraverso il taglio della metà (un miliardo di euro) del bilancio del Ministero per i Beni culturali ‘guidato’ da Sandro Bondi (era l’estate del 2008), di fatto mettendolo «in liquidazione» (Settis). Il secondo, caratterizzato dai governi di centro-sinistra e da ministri per i Beni culturali come Walter Veltroni e Dario Franceschini, ha realizzato la dismissione del patrimonio pubblico avviata dal centrodestra, e se ha recuperato qualche punto nei finanziamenti della tutela, ha però messo sotto attacco il primo comma dell’articolo 9, interpretando lo «sviluppo della cultura» come pura valorizzazione economica, minando le ragioni stesse della tutela e l’indipendenza di questa ultima dalla politica. Tra i due segmenti non c’è alcuna soluzione di continuità, ma anzi un crescendo di impegno per sradicare di fatto l’articolo 9 dall’impianto dei principi fondamentali del nostro progetto di Paese.
Prendiamo il nucleo concettuale delle politiche berlusconiane sul patrimonio: la sua alienazione. Dopo una serie di tappe di avvicinamento, peraltro tutte dovute a governi di centro-sinistra, l’apice della privatizzazione del patrimonio si toccò, grazie a Giulio Tremonti, con «la costituzione, nel 2002, della Patrimonio dello Stato spa, una società per azioni che, almeno teoricamente, avrebbe potuto gestire e alienare qualunque bene della proprietà pubblica» (Mattei, Reviglio, Rodotà). Ovviamente questa specie di escalation della privatizzazione colpì e travolse anche la parte più importante del patrimonio dello Stato, il «paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione»: e di fronte all’enormità dell’attacco, si risvegliò un’opinione pubblica non ancora del tutto franta. Il libro Italia spa di Salvatore Settis – che uscì proprio nel 2002, conquistando subito un ruolo guida – aprì gli occhi agli scettici e agli increduli, dimostrando con numeri e fatti che «il patrimonio culturale italiano non è mai stato tanto minacciato quanto oggi, nemmeno durante guerre e invasioni: perché oggi la minaccia viene dall’interno dello Stato, le cannonate dalle pagine della Gazzetta Ufficiale».
Anche grazie a quella resistenza, il progetto megalomane della Patrimonio dello Stato spa si arenò: ma solo per realizzarsi, di fatto, passo a passo. Oggi una fitta legislazione creata in gran parte dai governi di Centrosinistra consegna ai manuali di storia del diritto le differenze tra beni disponibili, beni indisponibili e demanio inalienabile dello Stato, e cancella l’idea stessa di un demanio inteso come una riserva inattingibile rivolta al futuro e finalizzata all’attuazione dei diritti fondamentali dei cittadini: tutto è, nei fatti, alienabile, tutto è anzi potenzialmente già in vendita, e le differenze di stato giuridico tra i beni comportano solo trafile burocratiche differenti. Così l’incubo della Patrimonio dello Stato spa si è di fatto avverato, anche se nella forma di uno stillicidio. […]
Negli ultimi anni l’insofferenza della politica italiana verso il sapere scientifico e tecnico appare crescente: tanto che nel discorso pubblico degli ultimi anni la contrapposizione tra le competenze della Repubblica e quelle gli enti locali è stata rappresentata come una contrapposizione tra una burocrazia non legittimata democraticamente (le soprintendenze) e le amministrazioni che hanno ottenuto il consenso popolare (innanzitutto i sindaci eletti direttamente). Questa insofferenza verso le magistrature repubblicane chiamate a difendere la publica utilitas contro l’arbitrio degli interessi privati è cresciuta a destra, ma è stata infine ‘sdoganata’ dal Matteo Renzi sindaco di Firenze, che arrivò a scrivere che «Sovrintendente è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia». La convergenza politica sul progetto di eliminare l’articolazione concreta della ‘tutela’ imposta dal secondo comma dell’articolo 9 è stata plasticamente chiarita agli italiani durante una nota trasmissione televisiva televisiva («Porta a Porta» del 16 novembre 2016): qua, dialogando amabilmente con il segretario della Lega Matteo Salvini, l’allora ministra per le Riforme istituzionali Maria Elena Boschi candidamente ammetteva: «io sono d’accordo diminuiamo le soprintendenze, lo sta facendo il ministro Franceschini. Aboliamole, d’accordo». […]
Il «terribile diritto» della proprietà privata ha infine piegato l’interesse pubblico: l’eclissi dell’articolo 9 è oggi al suo culmine, e la formula del ‘silenzio assenso’ non è soltanto un escamotage giuridico procedurale, ma una traduzione simbolicamente efficace di ciò che il potere politico si aspetta oggi dai tecnici della tutela: un tacito consenso.

FQ, 11 febbraio 2018

Recensione della bella mostra L’Ultimo Caravaggio alle Gallerie d’Italia. Da vedere e rivedere.

Una storia dell’arte senza Caravaggio

A Milano, Gallerie d’Italia, “L’ultimo Caravaggio. Eredi e nuovi maestri” . La mostra, a cura di Alessandro Morandotti, individua una linea, tra Genova e Milano, per cui la lezione del Merisi non fu determinante. In tempi di mostre caravaggesche a oltranza, è salutare la provocazione, sostenuta da chiari confronti, di vedere nella pittura di Procaccini e Strozzi una possibile «alternativa»

 

Giulio Cesare Procaccini, “Ultima Cena”, part., Genova, SS. Annunziata del Vastato

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Dobbiamo credere a tutto quello che ci racconta il ministro Franceschini? Ecco i dati, fate i vostri ragionamenti

Sotto la lente dell’analisi i dati “strabilianti” su ingressi e incassi museali si sgonfiano…

a cura di Vittorio Emiliani – Roma, febbraio 2018

Il ministro Dario Franceschini ha esibito come dati “strabilianti” i visitatori dei Musei saliti nel 2017 a circa 50 milioni e gli introiti dei Musei e dei siti statali aumentati a 193.500.000 euro,con incrementi rispettivamente del 11,1 e dell’11,6 per cento. Successivamente, a La7, ha annunciato di aver portato allo 0,29 per cento del bilancio dello Stato quello del suo Ministero.

Vediamo allora di fare bene i conti in proposito al di là delle “veline” ministeriali.

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Ancora sui numeri dei visitatori dei musei e dei relativi incassi

Gabriele Simongini, Franceschini ministro dei mali culturali

 

Record di visitatori nei musei, record di incassi da bigliettazione, aumento imperioso dei fondi destinati alla cultura. Siamo finalmente diventati, senza accorgercene, il Paese di Bengodi in fatto di beni culturali e paesaggio? A sentire il Ministro Franceschini e i suoi annunci trionfalistici parrebbe proprio di sì.

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Conferenza 8 febbraio: Bernini, gli anni delle “cose grandi”

Bernini, gli anni delle “cose grandi

L’ascesa al soglio papale di Maffeo Barberini proietta Bernini in una dimensione che nessun artista aveva mai conosciuto prima di lui, permettendogli di realizzare il nuovo volto di Roma. Ad alcune condizioni però…

Riuscirà il nostro eroe a mantenere la sua libertà e la sua individualità di artista o sarà solo un servitore del potere?

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Data: giovedì 8 febbraio
ora: 14,45
luogo: via terraggio 1
quota di partecipazione: euro 13, studenti euro 5
E’ possibile acquistare i cd con le precedenti lezioni: 15 € completo, 5 € solo immagini

Vuoi fare yoga? Vieni al museo!!!! La politica culturale dei nuovi direttori.

YOGA IN PILOTTA

dal sito del MiBACT

Dopo il notevole successo degli scorsi mesi, sabato 20 gennaio riparte l’iniziativa Yoga in Pilotta con un ciclo di incontri più ampio, che proseguirà fino a primavera.

“Siamo molto soddisfatti dell’esito positivo del primo ciclo di incontri dedicato allo yoga al museo inserito nel ricco calendario di attività dell’Autunno in Pilotta – commenta il direttore del Complesso Simone Verde – l’entusiasmo dimostrato dal pubblico e i numerosi apprezzamenti manifestati ci hanno incoraggiato a proseguire la collaborazione messa in campo con l’Associazione coordinamento degli insegnanti di yoga che ringraziamo per la generosa disponibilità che ci ha consentito di attivare il progetto, aggiungendo per il 2018 diversi altri appuntamenti”.

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“Un museo deve essere un luogo nel quale le radici devono essere messe in discussione, non semplicemente proposte ai cittadini in maniera acritica ed è per questo è fondamentale che i musei siano dei musei partecipativi. In un museo partecipativo che elabora una nuova identità in funzione delle proprie esigenze, delle proprie aspirazioni e della propria creatività c’è posto anche per soggetti privati, per l’associazionismo, per imprese e per tutti coloro che nella sfera sociale partecipano a questa reinvenzione quotidiana della nostra società e della nostra cultura.”

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Sui direttori dei Musei e la riforma Franceschini

Se la riforma non regge ai dubbi non funziona

Tomaso Montanari in la Repubblica 3-2-2018

 

Ieri la sesta sezione ha rinviato all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato la decisone finale sui direttori stranieri dei grandi musei, nodo centrale della riforma Franceschini: è possibile o no affidare a chi non ha la cittadinanza italiana ruoli dirigenziali in istituzioni di rilevante interesse nazionale? Dario Franceschini ha reagito chiedendosi, via twitter, “cosa  penseranno nel mondo ?”, e concludendo che è “davvero difficile fare le riforme in Italia”. Ora, escludendo che il ministro volesse resuscitare il repertorio berlusconiano sulla giustizia politica, non si può che concludere che se una riforma non regge all’esame della giustizia amministrativa, significa semplicemente che è stata scritta male.

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Vieni a cena al museo? Iniziative per la valorizzazione dei Beni Culturali

Cene eleganti al museo di Ascoli

Tomaso Montanari in blog Articolo9 Repubblica.it 17-1-2018

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Guardate questa fotografia. Non è un remake di provincia di Eyes Wide Shut: è che, per ragioni di privacy, bisognava cancellare i volti di queste dame e di questi cavalieri fieri di mostrarsi a banchetto, subito prima di Natale, nella stretta galleria della Pinacoteca dei Musei Civici di Ascoli.

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Una lettura illuminante sulla trasformazione del patrimonio culturale pubblico.

Privati del patrimonio

Tomaso Montanari

Editore: Einaudi
Collana: Vele
Anno edizione:2015
Pagine:XV-167 p., Brossura
  • EAN: 9788806218973

Sono vent’anni che, in Italia, la politica del patrimonio culturale si avvita sulla diatriba pubblico-privato: brillantemente risolta socializzando le perdite (rappresentate da un patrimonio in rovina materiale e morale) e privatizzando gli utili, in un contesto in cui le fondazioni e i concessionari hanno finito per sostituire gli amministratori eletti, drenando denaro pubblico per costruire clientele e consenso privati. Ma cosa ha significato, in concreto, la “valorizzazione” (o meglio la privatizzazione) del patrimonio? Quali sono la storia e i numeri di questa economia parassitaria, che non crea lavoro dignitoso e cresce intrecciata ai poteri locali e all’accademia più disponibile? Ed è vero che questa è la strada seguita nei grandi paesi occidentali? Tomaso Montanari risponde a queste e altre domande spiegando perché non ci conviene distruggere il governo pubblico dei beni culturali basato sul sistema delle soprintendenze: un modello che va invece rafforzato e messo in condizione di funzionare, perché è l’unico che consente al patrimonio di svolgere la sua funzione costituzionale. Che è quella di renderci più umani, più liberi, più uguali.