Bernini pittore, recensione, ancora valida, di una eccellente mostra del 2008

Bernini pittore

Una attività poco conosciuta in cui Gian Lorenzo si è espresso con la massima libertà, una “valvola di sfogo” all’essere l’artista di papi e potenti. A Roma, nella Galleria Nazionale di Palazzo Barberini, una mostra vuole fare giustizia dell’inflazione di autoritratti e ritratti attribuiti al “genio del barocco”

di GOFFREDO SILVESTRI

La Repubblica, 18 ottobre 2007

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Il Prado ha concesso alla mostra un “Autoritratto” come dipinto autografo del Bernini pur sapendo che in mostra sarebbe stato presentato declassato ad “Anonimo seguace, da Gian Lorenzo Bernini”. Una collezione privata italiana (milanese) non ha concesso un “Autoritratto” come dipinto autografo del Bernini, notificato quindi accessibile agli studiosi, sapendo che in mostra sarebbe stato presentato come opera del “modesto” allievo Carlo Pellegrini. Un antiquario romano, Marco Fabio Apolloni, ha prestato una grande tela, “Sansone sbarra il leone”, convinto che sia del Bernini, pur sapendo che in mostra sarebbe stata presentata come “Allievo di Gian Lorenzo Bernini”.

Sono reazioni opposte alle quali doveva essere pronto il curatore di una mostra certamente atipica, anche scomoda, anche attaccabile perché basata sull'”analisi stilistica e sull’interpretazione storica dell’attività e della produzione berniniana”, non su documenti, insomma una mostra piena di spunti, molto interessante e per di più di dimensioni contenute (34 opere, tutti dipinti ad eccezione di una scultura e di dieci disegni, tre da Windsor, dalle collezioni della regina Elisabetta).

Si tratta della mostra “Bernini pittore” ideata e curata da Tomaso Montanari, professore associato di storia dell’arte moderna all’Università di Roma Tor Vergata, aperta dal 19 ottobre al 20 gennaio 2008 a Roma, Palazzo Barberini, il palazzo della famiglia che fu fra i committenti più importanti del Bernini (1598-1680), che più amò il Bernini scultore, e sul quale il maestro intervenne dopo Carlo Maderno e prima del Borromini. Fu un papa Barberini, Urbano VIII, a spingere Bernini venticinquenne, già “il più grande artista vivente a Roma”, alla pittura per emulare Michelangelo “artista universale”, per essere il Michelangelo della sua epoca (anche se l’augurio era stato del papa precedente, Paolo V Borghese). Forse perché Urbano VIII voleva il “suo” Michelangelo.

Una mostra scomoda: basti dire che nell’inflazione dei dipinti del Bernini (“quasi cinquanta opere, la fine del Caravaggio”), Montanari ne ammette in mostra sedici come sicuramente del Bernini, e che alla fine del catalogo (Silvana Editoriale), c’è un inventario ragionato della pittura del Bernini, con tanto di ubicazione, che non farà piacere a molti musei, collezioni o privati. Nove opere “la cui invenzione, e talvolta il cui disegno, possono essere riferiti a Bernini o al suo stretto ambito, ma che non furono dipinte da lui”; undici opere “realizzate nella scuola di Bernini, da suoi allievi e sotto la sua direzione, spesso come esercizi di copia da originali del maestro”; due “copie seriori da originali berniniani” e venticinque dipinti rifiutati.

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Autoritratto malinconico (1630 circa). Olio su tela, cm 43×34,2. Collezione privata

Sono esposti in grande maggioranza autoritratti e ritratti del Bernini completati da alcuni soggetti sacri, le grandi pale per le quali Gian Lorenzo fece il cartone o la regia o sorvegliò la realizzazione di Carlo Pellegrini. Non esiste nella pittura italiana del Seicento un artista che abbia avuto una “costante tensione a riprodurre il proprio volto” come il Bernini. Solo di Rembrandt ci sono arrivati più autoritratti in assoluto. Il primato del Bernini può essere spiegato per ipotesi come “esercizio pittorico, pratica attività didattica” (l’accademia di cui fu direttore per dodici anni).

Finalmente una mostra che ha rispetto dei visitatori dando informazioni sotto ciascuna opera senza rimandare al catalogo (che, in generale, i visitatori comprano sempre meno). Le didascalie, anche in inglese, non sono scheletriche, una presa d’atto anagrafica o di titoli, ma in poche righe spiegano perché quell’opera è esposta, quali sono i tratti caratteristici.

La mostra nasce da una ricerca di Montanari durata sei anni ed è stata promossa dal polo museale di Roma diretto da Claudio Strinati e dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena, realizzata da Vernice Progetti Culturali. Per trovarla bisogna salire al secondo piano di un Palazzo Barberini che – ha detto Angela Negro – continua a conquistare il suo spazio naturale: altre quattro sale del piano nobile saranno aperte entro fine dicembre. In attesa di poter dedicare uno spazio stabile alle mostre al piano terra, entro fine 2011 quando nascerà la “Grande Barberini”.

Il senso della mostra ce lo presenta lo stesso curatore, Tomaso Montanari.

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Testa di vecchio. Cm 42,5×33. Collezione privata, Milano

Il senso è recuperare alla pittura italiana del Seicento, anzi europea, un artista, il Bernini, finora tutto sbilanciato sulla utilizzazione pubblica, sulle grandi imprese decorative, la “Loggia delle Benedizioni” che doveva affrescare in San Pietro, artista integrato per eccellenza, artista dei papi e dei gesuiti. Qui è un artista completamente diverso. A cominciare dal formato. Piccoli quadri per godimento privato e quindi anche da realizzare in libertà tutta privata, nel senso che non si deve rispondere a nessun committente. Per noi moderni è una scelta normale, ma nel Seicento assolutamente eccezionale. Bernini se lo poteva permettere perché artista di grande successo in altri campi, scultura, architettura, non aveva preoccupazioni economiche. Un altro pittore, Salvator Rosa, che ambiva alla stessa libertà doveva fare i conti con continui conflitti con i committenti.

Lei afferma che “su Bernini pittore ci si sente autorizzati a dire cose bizzarre”.
Si confonde libertà con arbitrio. Si pensa che essendo un pittore libero potesse fare cose brutte rinunciando alla sua qualità. L’esistenza di meno documenti lascia più campo alla fantasia nella ricostruzione storica. Ci sono molte più ipotesi. Qualunque testa tracciata in libertà, un po’ veloce, diventa un dipinto di Bernini.

Perché una tale inflazione di supposti autoritratti, ritratti del Bernini?
C’è una ragione innocente. Noi tutti storici dell’arte vogliamo ampliare il catalogo del Bernini. Molto difficile per le sculture. Ci si prova con i dipinti anche perché le fonti antiche parlano di una produzione fra i 150 e i 200 pezzi. Secondo l’ultimo volume monografico i dipinti autografi sarebbero una cinquantina. Poi c’è una ragione meno innocente. Bernini è autore antico fra i più ambiti del mercato. Sostenere che un autografo del Bernini è di un allievo significa far passare il valore da tre milioni di euro a 150 mila. E viceversa.

Lei è arrivato a una drastica riduzione dei dipinti autografi del Bernini solo su base stilistica e interpretazione storica. Come mai questa scarsezza di documenti su Bernini pittore, un personaggio di prima grandezza, così coinvolto con i più potenti personaggi del tempo?
Bernini non ha cercato di imporre la sua pittura. I quadri in genere li teneva a casa sua o li regalava agli amici. Bernini è stato un artista di grandissimo successo anche perché sapeva proporre ciò che poteva essere accettato. Non dico che ci sia stata una autocensura, ma Bernini ha dimostrato una forte conoscenza del pubblico e del mercato.

Bernini, dal 1630 al 1642, fu anche direttore di una Accademia di pittura al Palazzo della Cancelleria del cardinale Francesco Barberini. Non sempre viene ricordato, forse perché aveva contemporaneamente una importante attività teatrale come scenografo e maestro di recitazione. Rappresentava tutte le parti per insegnarle agli altri. Certamente in questa accademia c’è stata una ingente produzione di ritratti, copie da propri ritratti che il Bernini dava agli allievi come tema di svolgimento e sui quali interveniva anche. Opere che sono andate poi a confondere le idee sui veri Bernini.
Il documento sull’accademia del Bernini, esattamente “accademia dè pittori”, è stato pubblicato nel 1975 da Marylin Aronberg Lavin, ma nessuno degli storici dell’arte se ne è accorto. Io stesso l’ho scoperto due anni fa.

Lei ha una “regola aurea” per separare il Bernini pittore autografo dal non Bernini. Quando un quadro è più grande di due metri, ha una funzione pubblica ed è su commissione non è del Bernini. Non ci sono eccezioni a questa regola?
Per ora non ne conosciamo.

Il Bernini scultore, architetto, regista del barocco, in che considerazione teneva il Bernini pittore? Era un “divertissement”, un modo non impegnativo di non dispiacere al papa?
No assolutamente. Secondo me nella pittura c’è una riserva di libertà intellettuale ed artistica che ha alimentato l’intera arte di Bernini. Bernini, l’artista perfettamente allineato con i potenti, sulla celebrazione agiografica, sente di dover sublimare questo problema in una attività totalmente libera. La pittura come “valvola di sfogo”.

In mostra c’è una galleria di ritratti di persone comuni, di tipi normali, di fanciulli, di colleghi come il Gaulli dalle gote pienotte, forse di Poussin con un bertocchino da pittore, forse del rubizzo tedesco Paul Schor ammirato dal maestro. Dipinti da Bernini o nati all’interno della sua accademia. Che caratteristiche hanno?
Sono dipinti senza attributi sociali, senza decoro. Una estrema presenza esistenziale. Sono individui, persone, non ruoli sociali.

Fra i tipi comuni c’è anche papa Urbano.
Sì, anche lui ritratto con grande libertà, senza attributi pontifici se non il camauro e la mozzetta invernale con la pelliccia. Bernini sembra interessato più al corpo fisico che al corpo sacro. I colori sono rosso brillante, gioiosamente veneziano. Il bianco in tutte le gradazioni è stato dato con le dita. Dopo la mostra il dipinto sarà forse pulito. Tre versioni del dipinto sono state respinte come non del Bernini.

Una piccola tela (36 per 30 centimetri) della Galleria Borghese che raffigura un fanciullo ha una incisione orizzontale proprio a metà del viso, da un lato all’altro.
Effetto della piegatura in quattro. Così era conservata nella famiglia Chigi che la vendette allo Stato nel 1919. Questo fa pensare come erano poco considerati i dipinti del Bernini. In epoca moderna è stata ritenuta dipinta su carta. Si tratta di un ritratto dalla verità caravaggesca, con le luci e l’atmosfera ancora debiti del Guercino, ma con una evidenza tridimensionale della massa, un colore luminoso che sono del Bernini. I capelli sembrano marmo impregnato di colore.

C’è un altro ritratto di fanciullo.
Qualcosa di dipinto con una libertà quasi feroce, fra lo schizzo e il bozzetto di creta. L’ha scoperto Fabrizio Mancinelli nel 1979 nei depositi dei Musei Vaticani.

Nella spezzatura, nella velocità di esecuzione che caratterizzano i dipinti, Bernini ricorreva a qualche tipo di preparazione, per esempio ad incisioni?
Incideva col pennello la tela. Un segno continuo della massa.

Viene esposta un’unica scultura. Il busto ritratto in marmo dell’amante di Gian Lorenzo (e del giovane fratello Luigi) Costanza Bonarelli, moglie di un fido collaboratore.
Il busto, che è stato pulito in occasione della mostra, è l’unico ritratto scultoreo in cui Bernini esprime la stessa massima libertà dei dipinti. Anche qui senza committente, riprende Costanza con la camicia aperta sul seno, i capelli in disordine , una figura che esprime viva sensualità, nonostante il materiale usato. Bisognerà aspettare il Settecento francese per avere sculture con questi contenuti, ma non di questa qualità espressiva. Unico ritratto in marmo che il Bernini abbia fatto per sé, lavorandoci alcune settimane. Certamente una delle sculture più famose del Seicento europeo, anche per il collegamento particolare col soggetto.

La donna che fece tanto infuriare Bernini da fargli inseguire in una chiesa di Roma, con la spada sguainata, il fratello che ne condivideva le grazie e di provocare la supplica della madre ad un cardinale perché acquietasse i bollenti spiriti di Gian Lorenzo. La Costanza Bonarelli è stata paragonata a dipinti di Rubens e Velázquez.
Il confronto più parlante è con un dipinto del Velázquez a Dallas, una donna di profilo, datato al 1650. Può darsi che Velázquez abbia visto il busto della Costanza a Firenze.

Come è arrivato il busto a Firenze?
Forse è stato donato ai Medici negli anni Quaranta. Ho scoperto un documento da cui si ricava che il due maggio 1645 il cardinale Giovan Carlo dè Medici visitò Bernini a Roma, a casa sua. Può darsi che il busto sia stato donato in quella occasione. Per dire della altissima considerazione di cui godeva fu collocato di fronte al “Bruto” di Michelangelo.

Bernini si dedica alla pittura in un periodo particolare o durante tutta la carriera?
Allo stato attuale conosciamo la sua attività pittorica dal 1623 al 1640 circa. Nel ’44 muore Urbano VIII e lui si deve dedicare alla tomba del papa. Unica eccezione a questo periodo il ritratto del Gaulli, a metà degli anni Sessanta. In compenso disegna moltissimo, disegni di grande valore pittorico, acquerellati.

Ci sono esempi in mostra?
No perché si sono scelti disegni di ritratti. Quella del “Bernini disegnatore” sarebbe stata un’altra mostra che prima o poi bisognerà fare. I disegni acquerellati dell’età tarda, secondo me, prendono il posto dei dipinti della giovinezza.

Ci sono inediti o dipinti del Bernini presentati per la prima volta?
Mai esposto e di fatto inedito il “Ritratto di giovane (Domenico Bernini senior?)”. Molto importante perché datato a metà degli anni Trenta, considerato l’equivalente pittorico della “Costanza Bonarelli” e del busto del cardinale Scipione della Borghese, il periodo delle “statue parlanti”. Mai esposto l'”Autoritratto malinconico” uscito da una collezione di New York. Non solo, si vede per la prima volta a colori, finora solo foto in bianco e nero. E qui tutto sta nel colore per rivelare un contatto con Velázquez che fu a Roma nel 1630 nel primo viaggio in Italia. Mai esposto il ritratto di “Giovan Battista Gaulli”, uscito da una collezione privata italiana. Mai esposto il “Vecchione biblico” prima pubblicato come “Frate cappuccino”, però non ha né saio né tonsura. Si può considerare presentato per la prima volta in una mostra scientifica anche il “Sansone sbarra il leone” che Apolloni ha presentato come Bernini solo in una mostra antiquaria e che qui presentiamo come opera di “Allievo di Gian Lorenzo Bernini”. Accanto è un bellissimo disegno in matita rossa, questo sì del Bernini, che arriva dal Louvre e dal titolo “Davide sbarra il leone”. Si tratta di un titolo in italiano antico: “sbarra” sta per “uccide il leone torcendogli le fauci”.

Ha avuto rifiuti dolorosi?
Il “Bernini come David” in corazza e con lo spadone in mano, di una collezione italiana, non è stato concesso perché non sarebbe stato esposto come autografo del Bernini, ma di Carlo Pellegrini.

La mostra chiude con un dipinto a carattere sacro, di grandi dimensioni (147 per 99,5 centimetri), il “Cristo deriso” prima della fustigazione e dell'”Ecce Homo”, considerato il testamento pittorico del Bernini.
In occasione della mostra il dipinto è stato contestato come non del Bernini, ma solo su base anatomica. La parte anatomica in un pittore come Bernini è normalmente deformata in un senso che potremmo chiamare espressionista e questo non solo nella pittura, ma nella scultura. L’interpretazione su base anatomica ha portato per esempio, sempre in occasione della mostra, a rifiutare come del Bernini il dipinto della National Gallery di Londra, “I santi Andrea e Tomaso apostoli” che è l’unico di cui si conosce perfettamente la storia documentale fra cui l’ingresso nella guardaroba del cardinale Francesco Barberini il primo giugno 1627. Il cefalo che è in primo piano in questo dipinto attira la nostra attenzione su un Bernini anche autore di “nature morte”.

Ritornando al Bernini.
Ritornando al Bernini, il “Cristo deriso”, di impressionante realismo, è l’unica figura intera della sua opera pittorica ed è costruita come le statue giovanili della Borghese, con un potente coinvolgimento dello spettatore che viene fatto precipitare nel clima emotivo dell’opera. Si tratta cioè di un’opera definita “transitiva”: per esprimere tutto il suo senso ha bisogno della partecipazione di chi guarda al quale viene assegnato in questo caso il ruolo ingrato dei soldati romani, degli aguzzini.

Adesso si prepari alle contro interpretazioni e contro deduzioni dei colleghi. O al loro silenzio.
Una mostra si fa per il pubblico e fra il pubblico io metto gli storici dell’arte e gli specialisti. Spero che la mostra sia l’apertura di una discussione nuova sul Bernini pittore. L’aver indicato sedici dipinti del Bernini è per me un metro sul quale misurare le future proposte.

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