Uno smacco a Parigi per Bernini e l’arte italiana

Il cavalier Bernini va a parigi

di STEFANO MALATESTA, La Repubblica,

NEL maggio del 1665 il sessantasettenne Gian Lorenzo Bernini, che fino ad allora non si era quasi mai mosso da Roma, arrivò in Francia accolto con onori simili a quelli che si rendevano ai principi del sangue. La sua scorta, pagata da Luigi XIV, era composta dal secondogenito dei suoi undici figli, dal suo disegnatore capo, da un aiutoscultore, da un cuoco, tre domestici, un corriere e il signor Mancini, corriere del Gabinetto reale.

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A Lione gli vennero incontro, per rendergli omaggio, tutti gli artisti della città. Alle porte di Parigi fu accolto e poi accompagnato da Paul Fréart de Chantelou, il Maestro di Casa Reale. Il primo ministro Colbert inviò il tiro a sei del fratello per condurre il Cavaliere al palazzo parigino preparato per lui e per la sua scorta. Mai, prima o dopo di allora, ha scritto Rudolf Wittkower, un artista ha viaggiato con un tale apparato. Mai nessuno è stato onorato così regalmente: nemmeno Tiziano, a cui pure Carlo V raccoglieva il pennello (un aneddoto inventato in lode della dignità della professione artistica), nemmeno Raffaello, nemmeno Rubens. Il viaggio del Cavalier Bernini in Francia fu l’ apogeo della lunga marcia del riconoscimento dei meriti e del genio degli artisti iniziata con la fine del Medio Evo: il trionfo della loro posizione mondana e sociale. Ma, nello stesso tempo, un’ immensa delusione e un colossale smacco, il momento in cui la libera, ricchissima, lussureggiante, prodiga arte barocca si piegò ai voleri dell’ assolutismo e della ragion di Stato. Fu anche l’ inizio del crollo del prestigio artistico italiano in Francia e altrove, il principio della fine del nostro predominio, che era durato secoli. La vicenda tragicomica di questo soggiorno francese del Bernini, durato cinque mesi, molto studiato e ricostruito nei particolari da storici dell’ arte come Blunt e Wittkower, si basa su un libro di memorie, il diario scritto quasi giorno per giorno dal signor de Chantelou, ora ripubblicato da Sellerio (Viaggio del Cavalier Bernini in Francia, pagg. 233, lire 18.000). Questo Journal, di cui si è avuta notizia solo nel 1759 con la pubblicazione dei Mémoires di Charles Perrault (l’ autore delle fiabe e maligno personaggio alla corte del Re Sole, ostile al Bernini), è un documento straordinario in molti sensi. Per la vivezza letteraria, appena velata dalle maniere cortigiane ma sincere di Chantelou. Per i riferimenti alle idee artistiche del Bernini, che non era un teorico ma che certamente aveva fermissime convinzioni e chiarissimi modi di lavorare. E per lo scontro tra un personaggio fiero, libero e ardito, com’ era l’ artista, e la Corte francese, sede di una monarchia assoluta e attraversata da un arrogante spirito nazionalistico che detterà legge in Europa. Bernini era allora il più famoso artista dell’ epoca: dal 1618 al 1680 favorito da otto pontefici, richiestissimo e pagato con cifre enormi. Il duca Francesco d’ Este gli aveva versato tremila scudi per il proprio ritratto in marmo. Il cardinale Richelieu, in cambio di un busto, gli aveva donato un gioiello con trentatré diamanti incastonati, sette dei quali di notevoli dimensioni. Principi e ministri di tutt’ Europa, tra cui il cardinale Mazarino, avevano tentato, senza riuscirci, di attirarlo nelle loro Corti: i papi se lo tenevano stretto. Nel 1623, appena asceso al trono papale, Urbano VIII gli aveva detto: E’ vostra gran fortuna, cavaliere, di vedere il papa Maffeo Barberino; ma è assai maggiore la nostra che il cavaliere Bernino viva nel nostro pontificato. Ci riuscirono Colbert e Luigi XIV, facendo forti pressioni sul papa e dopo lunghe trattative. Sia Fouquet, il ministro delle finanze che venne fatto arrestare non appena Luigi XIV assunse il potere, sia Colbert, erano stati alla dipendenze del Mazarino e da lui avevano assorbito la passione per le opere d’ arte italiane. Inoltre il giovane re che già si considerava il più grande tra i monarchi viventi voleva che il museo del Louvre fosse ampliato e rimodernato, a sua gloria imperitura, dal più grande degli architetti. I progetti presentati da Le Vau, che era stato l’ architetto del Mazarino, non erano piaciuti, altri francesi non sembravano all’ altezza. Così si fece appello al Bernini. L’ artista partì assai malvolentieri. Detestava i francesi e non amava viaggiare: era rimasto un provinciale di grandissimo genio, felice di lavorare a Roma. Ma nell’ incontro con il sovrano dimostrò racconta Chantelou una sicurezza perfetta, da vecchio orgoglioso, anche lui sovrano nel proprio mestiere. Non si fece intimidire dall’ apparato, passeggiò nell’ anticamera del castello di Saint-Germain, dove Luigi XIV risiedeva, in attesa che il re finisse di vestirsi, parlando affabilmente con i marescialli de Gramont, du Plessis e con altri personaggi di alto rango. Quando presentò i suoi omaggi a Luigi, lo fece con garbata arditezza. Poi aggiunse: Non mi si parli di niente che sia piccolo. I cortigiani rimasero impressionati: Ha un temperamento tutto fuoco. Il suo viso ha dell’ aquila, specie per gli occhi: questa la descrizione di Chantelou. Ma gli attriti cominciarono quasi subito. Il progetto appena schizzato dal Bernini, che prevedeva grandiosità e rifacimenti completi, cadde sotto le gelide, puntigliose osservazioni di Colbert, Le Nord, come lo chiamava Madame de Sévigné. L’ appartamento del re era stato previsto in una parte del palazzo troppo esposta al chiasso esterno; le logge, fatte per dare modo al re di salire e scendere dalla carrozza al coperto, si prestavano a nascondere possibili attentatori e così pure le colonne disegnate per il vestibolo. Ha fatto osservazioni più numerose che le pietre occorrenti per il progetto, commenterà poi, ironico, l’ artista. I disegni del progetto continuarono ad uscire con una rapidità incredibile dalle mani del Bernini. Ma Colbert era sempre lì a controllare, gentile ma pedante: il piano nobile era troppo alto perché si potessero riscaldare bene le stanze, le statue sistemate sul cornicione non sarebbero state sempre visibili a causa della nebbia. Bernini a volte rispondeva a tono, a volte si lamentava con Chantelou, dicendo di aver fatto malissimo ad andare via da Roma e di essere finito in un posto in cui il più intrigante e il più imbroglione sarebbe stato giudicato sempre il più bravo: come gli aveva predetto Urbano VIII. Diventava sempre più tetro, detestava sempre più i francesi. Parigi non era altro che un ammasso di camini e questo dava l’ impressione come di un pettine per cardare. Nel suo bellissimo saggio Mecenati e pittori, Francis Haskell ha spiegato come il Bernini non si fosse reso conto della differenza essenziale tra la politica artistica della monarchia francese e quella del papato. Anche Colbert voleva la grandiosità, ma, da buon amministratore, non poteva trascurare il problema della spesa e della disposizione delle sale. Inoltre, se a Roma ogni papa si preoccupava soprattutto di eclissare il suo predecessore e di ricominciare tutto ex novo, i re francesi, al contrario, succedevano sempre ad un padre, o ad un nonno, che in genere riverivano e le cui opere esitavano a distruggere. Solide ragioni di contrasto politico-dinastico-amministrative da una parte, artistiche dall’ altra, che venivano però come eccitate dalla suscettibilità nazionale, su cui soffiavano i cortigiani. L’ eccezionale talento dell’ italiano non si discuteva, anche se Perrault andava mormorando che, come architetto, Bernini era pessimo. Contemporaneamente alla preparazione dei disegni, l’ artista aveva scolpito un busto di Luigi, accolto con grande soddisfazione dal re: un’ opera viva, magnifica, piena di movimento. Quando la vide, l’ ambasciatore veneziano commentò: Il re appare come per dare un comando al principe di Condé, o a d’ Arcourt, o a Turenne, alla testa dell’ esercito. Sembra che il busto si muova, pur non avendo né braccia, né gambe. Luigi ordinò subito all’ artista una statua equestre. Ma per quanto riguarda il Louvre non si andava avanti. Secondo il progetto di ampliamento del Bernini, sarebbe stato necessario espropriare e abbattere alcune case che sorgevano a fianco del palazzo. Non era cosa di poco conto, fece notare Colbert: Non era possibile mandare via la gente da un giorno all’ altro. Lui non sapeva come si usasse a Roma; questa comunque non era la consuetudine francese. Ogni giorno, e in ogni occasione, tornava la polemica nazionalistica: a volte mascherata sotto le naturali differenze di costumi, più spesso esplicita. Chantelou, ammiratore e amico del Bernini, tentava di mediare, ma riusciva solo ad essere il terminale dei mugugni e delle critiche dei due campi. Alla fine di agosto, dopo quasi tre mesi di permanenza del Bernini a Parigi, ci fu un incidente, un passo malaccorto che peserà non poco su tutta la vicenda. Andando dal re, che stava ancora a letto circondato dai gentiluomini ammessi quel giorno al lever, Bernini attraversò la sala facendo commenti sugli ornamenti, che gli sembravano da donna. Il re non aveva sentito, ma qualcuno si premurò di riferirgli l’ uscita infelice dell’ italiano in una versione più maligna: Qui non ci sono stanze per uomini. Chantelou, interrogato da Luigi, rispose che il commento era stato alterato per mettere in cattiva luce l’ artista. Bernini rimase a Parigi fino alla fine di ottobre; ma, fosse stato per lui, sarebbe partito molto prima. Al momento del congedo, cerimonioso come sempre ma senza calore, il re gli assegnò un vitalizio di seimila ducati annui e una borsa di tremilatrecento pistole, distribuendo altre borse e laute mance tra il figlio dell’ artista, i suoi assistenti e servitori. Del progetto del Louvre si parlò ancora, pur nella generale convinzione che non sarebbe mai stato realizzato. Rimaneva invece fermo l’ impegno della statua equestre del re, basata su quella di Costantino al Vaticano, scolpita dallo stesso Bernini. L’ opera, giunta a Parigi venti anni più tardi, quando l’ artista era già morto, venne giudicata così brutta che il re ordinò di distruggerla. Alla fine fu trasformata in un Marco Curzio e così si salvò: invece di essere sistemata in una piazza di Parigi come magnifico monumento reale, dove sarebbe stata sicuramente distrutta dopo il 1789, venne relegata in un angolo remoto dei giardini di Versailles. E lì ancora si trova.

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