Privati del patrimonio
Tomaso Montanari
Sono vent’anni che, in Italia, la politica del patrimonio culturale si avvita sulla diatriba pubblico-privato: brillantemente risolta socializzando le perdite (rappresentate da un patrimonio in rovina materiale e morale) e privatizzando gli utili, in un contesto in cui le fondazioni e i concessionari hanno finito per sostituire gli amministratori eletti, drenando denaro pubblico per costruire clientele e consenso privati. Ma cosa ha significato, in concreto, la “valorizzazione” (o meglio la privatizzazione) del patrimonio? Quali sono la storia e i numeri di questa economia parassitaria, che non crea lavoro dignitoso e cresce intrecciata ai poteri locali e all’accademia più disponibile? Ed è vero che questa è la strada seguita nei grandi paesi occidentali? Tomaso Montanari risponde a queste e altre domande spiegando perché non ci conviene distruggere il governo pubblico dei beni culturali basato sul sistema delle soprintendenze: un modello che va invece rafforzato e messo in condizione di funzionare, perché è l’unico che consente al patrimonio di svolgere la sua funzione costituzionale. Che è quella di renderci più umani, più liberi, più uguali.
Sempre di Montanari segnalo l’articolo pubblicato su Repubblica del 3 febbraio, intitolato “Se la riforma non regge ai dubbi, non funziona”, in merito alla decisione del Consiglio di Stato di rinviare alla Adunanza plenaria dello stesso consiglio la questione se un non italiano possa o no dirigere un museo statale. L’orientamento del Consiglio (come quello del TAR) è contrario a questa eventualità, ma essendosi espresso il Consiglio in modo del tutto opposto in merito al concorso per il Parco Archeologico del Colosseo nel luglio scorso (con un altro giudice) si è preferito rimettere la decisione alla Adunanza plenaria.
Vedremo. Intanto Franceschini si lamenta per la triste sorte che potrebbe subire la sua riformetta e si chiede, preoccupato, “dall’estero chi si fiderà più a venire a lavorare da noi?”.
Magari può rivolgersi a uno dei tanti italiani che sono stati costretti a andare a lavorare all’estero oppure a uno dei tantissimi che sono ancora in Italia e che, grazie anche a lui, non trovano una giusta collocazione nel loro paese.
Grazie della segnalazione, aggiungo l’articolo in oggetto
Ovviamente non basta ssere italiani per essere all’altezza del compito, come dimostra il caso della direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, che ha letteralmente sconvolto l’allestimento precedente con operazioni arbitrarie ed ingiustificate, della quale avremo modo di parlare.
Luca