Incapacità di leggere lo spazio urbano

Due “ricchi” cavalli di bronzo che violano il vuoto popolare

di Tomaso Montanari, il fatto quotidiano, 10-10-2022

Due enormi cavalli in bronzo sono comparsi all’improvviso in piazza del Carmine, a Firenze. Passeranno, certo. E il problema non è se siano belli o brutti – tanto sono esteticamente e concettualmente insignificanti. Il problema è che fanno parte dello stock di una galleria d’arte, la Oblong Contemporary Art Gallery, che sabato scorso ha aperto la sua nuova sede fiorentina (le altre due sono a Dubai e a Forte dei Marmi…) proprio al Carmine. Nell’occasione, il Comune di Firenze ha pensato bene di trasformare in show room non solo quella piazza, ma anche altre due, piazza de’ Castellani e piazza del Grano.

Ora, la Galleria fa il suo mestiere: e cioè fa marketing dei suoi prodotti, che siano arredamento di lusso per ricchi o che siano “arte” (anche se, a dire la verità e anche un consiglio non richiesto, non so quanto paghi, a Firenze, presentarsi con tanta invadenza, con così poco understatement). Quello che, invece, il suo lavoro non lo fa è il Comune, che confonde spazio pubblico e mercato privato, e dimentica il livello sommo del tessuto urbanistico che è chiamato a custodire. Non ci si stanca di ripeterlo: in una città che ha piazza della Signoria, infilare due statue in una piazza dovrebbe far tremare le vene e i polsi.

E poi le piazze non sono terra di nessuno, e dunque terra di conquista. Sono invece di tutti: e perché continuino ad esserlo, bisogna che non diventino soltanto di qualcuno. È una morale semplice, quella che si insegna ai bambini quando vogliono tenere per sé un bel gioco che appartiene a tutta la classe. Ma è una morale difficile da far valere in un mondo, e in una città, nei quali chi ha più soldi può comprare davvero tutto: anche una piazza, anche la dignità di una storia straordinaria.

Piazza del Carmine, poi, non è una piazza qualunque. Non è un santuario del lusso, è una piazza popolare e operaia fin dalla sua nascita, nel Trecento. Una piazza che all’inizio del Novecento ha visto i primi grandi scioperi generali. Una piazza che ha visto gli atroci rastrellamenti delle madri e dei bambini ebrei da parte dei nazisti, e ha visto i partigiani combattere per la nostra libertà. Una lunga storia di ricerca di giustizia e liberazione: il cui protagonista è il popolo, un popolo povero, che Masaccio – nella Cappella Brancacci della Chiesa del Carmine – ha lì ritratto con una dignità insuperabile. Ed è una piazza ancora viva – vivissima –, non un vuoto da riempire, uno scatolone al quale trovare un senso. In un centro storico che è sempre di più solo una magnifica quinta architettonica di ristoranti e alberghi, l’Oltrarno resiste come quartiere intensamente vissuto e non ancora del tutto gentrificato. E se piazza Santo Spirito è intensamente vissuta da cittadini e turisti insieme, in piazza del Carmine giocano ancora a pallone i ragazzi del quartiere.

Quei due cavalli, dunque, non abbelliscono e non impreziosiscono: occupano, invece, uno spazio che è bello e prezioso proprio perché è vuoto, libero, felicemente inutile. È un fatto estetico, certo. Piero Calamandrei diceva della Toscana che “questa è la terra dove ci par che anche le cose abbiano acquistato per lunga civiltà il dono della semplicità e della misura: i composti panorami che, senza sbalzi di dirupi e asperità di rocce riescono di collina in collina a non ripetersi mai”. Ebbene, non comprendere questa misura, non significa solo non avere occhio, o gusto. Significa non aver capito il senso di questi luoghi amatissimi.

Quando piazza Navona, a Roma, fu finalmente pedonalizzata (come ha fatto, meritoriamente, questa stessa amministrazione comunale, proprio con piazza del Carmine), Cesare Brandi scrisse, sul Corriere della sera, che “sembrava veramente di attendere che non succedesse niente, di gustare questo non evento come un evento miracoloso e nuovo”. Ma a cosa serve, allora, un enorme vuoto urbano? “La città, che è l’espressione stessa dell’uomo, in quanto vive con l’uomo, e fa civiltà, e crea la cultura, la città deve anche poter sospendere l’uomo dal suo flusso ininterrotto di affanni e di lavori forzati”. In città, e in vite, troppo piene, dove ogni cosa serve a qualcos’altro, le piazze vuote sono un profetico segno di gratuità, liberazione, apertura: “come se fosse – scrive ancora Brandi – una festività ignota, qualcosa come un indulto, una sospensione, un miracoloso arresto”.

Per qualche tempo piazza del Carmine non sarà più quel miracoloso non-evento: ma non è in fondo così grave, perché prima o poi i cavalli galopperanno in qualche emirato, e il miracolo tornerà. Più grave (perché temo sia senza via d’uscita) appare questa perdita di capacità di leggere la città delle pietre (l’urbs), di sentirla, di interpretarla. Che è poi anche l’incapacità di leggere la comunità degli umani che la vivono (la civitas).

In fondo, la crisi della politica non viene proprio da qui, dall’oblio collettivo circa il senso della polis?

Pontormo: l’insostenibile leggerezza dell’essere

La Deposizione del Pontormo, un capolavoro anticonformista che rompe con la tradizione

La “Deposizione” del Pontormo, conservata nella chiesa di Santa Felicita a Firenze, è considerata uno dei capolavori fondanti del Manierismo. È di sicuro un’opera anticonformista che segna un netto distacco dalla tradizione.

È ormai riconosciuto il ruolo della Deposizione del Pontormo (Jacopo Carucci; Pontorme di Empoli, 1494 – Firenze, 1557) come capolavoro fondante di quel periodo storico che nella manualistica è detto “Manierismo”, malgrado l’opera possa esser letta anche (e forse soprattutto) come un capitolo a sé, come frutto dell’ingegno di un artista che, pur essendo figlio del suo tempo, non è incasellabile ed è oltremodo difficile da categorizzare.

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Donatello a Firenze

Donatello, confronti e ricezione per il grande proteiforme

di Daniele Rivoletti, Alias, 22-5-2022

A Firenze, Palazzo Strozzi e Museo del Bargello, “Donatello. Il Rinascimento”, a cura di Francesco Caglioti, con Laura Cavazzini, Aldo Galli, Neville Rowley. La mostra offre un esempio di metodo nel delucidare l’ardore sperimentale dello scultore in relazione ai contemporanei e ai posteri. Da Masaccio a Paolo Uccello a Mantegna, a Michelangelo, la dovizia degli accostamenti in linea con la migliore tradizione (Luciano Bellosi) Leggi tutto “Donatello a Firenze”

Il primo capolavoro di Duccio da Buoninsegna

La Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna, la più grande tavola del Duecento

di Federico Giannini e Ilaria Baratta, Finestre sull’arte, 27-2-2021

Duccio di Buoninsegna, Madonna col Bambino in trono e angeli, detta Madonna Rucellai (1285; tempera su tavola e fondo oro, 450 x 290 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi, in deposito dalla chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, Comune di Firenze)

La Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna è la più grande tavola dipinta del XIII secolo arrivata fino a noi. Custodita agli Uffizi nella sala delle Maestà, a confronto con Cimabue e Giotto, è in realtà della chiesa di Santa Maria Novella. Scopriamola in questo articolo.

È la più grande tavola dipinta del XIII secolo che ci sia nota: un’imponente opera di quattro metri e mezzo d’altezza per quasi tre di larghezza. Si tratta della Madonna Rucellai, straordinario capolavoro di Duccio di Buoninsegna (Siena, 1255 circa – 1319), che oggi accoglie i visitatori della Galleria degli Uffizi di Firenze all’inizio del percorso del museo.

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Grande mostra su Donatello a Firenze

Donatello contemporaneo sempre. A proposito della mostra di Palazzo Strozzi e Bargello

di Federico Giannini, Finestre sull’arte 1-4-2022

Sala della mostra Donatello. Il Rinascimento. Foto di Ela Bialkowska - OKNO Studio

Recensione della mostra “Donatello. Il Rinascimento”, a Firenze, Palazzo Strozzi e Museo Nazionale del Bargello, dal 19 marzo al 31 luglio 2022.

Si potrebbe discutere per ore su quel che Francesco Caglioti scrive nell’introduzione del catalogo della sua mostra Donatello. Il Rinascimento, quando ribadisce che le ricerche storico-artistiche tendano vieppiù al superamento dell’approccio legato alle vicende dei singoli maestri.

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La mostra del Grand Tour a cui dedicheremo uno dei nostri incontri

Il Grand Tour, sognando l’Italia nel Settecento. La mostra di Milano

di Federico Giannini, Finestre sull’arte, 21-1-2022

Gaspar van Wittel, Veduta del Colosseo con l'arco di Costantino (1716; olio su tela, 54,5 x 114,3 cm; Norfolk, The Earl of Leicester and the Trustees of the Holkham Estate)

Recensione della mostra “Grand Tour. Sogno d’Italia da Venezia a Pompei”, a Milano, Gallerie d’Italia di piazza Scala, dal 19 novembre al 27 marzo 2022.

L’espressione “Grand Tour” compare per la prima volta nel 1670, nello scritto d’un prete cattolico inglese, Richard Lassels, che quell’anno pubblicava a Parigi un libro, The Voyage of Italy, nel quale erano descritte le città, i monumenti, gli edifici visti durante un viaggio in Italia. Il libro cominciava con una prefazione in cui Lassels elencava i benefici del viaggiare, e tra i varî vantaggi di quest’attività il sacerdote includeva la possibilità di capire meglio la storia che si legge sui libri: “nessuno”, scriveva Lassels, “comprende meglio Livio e Cesare, Guicciardini e Monluc di colui che ha fatto il Grand Tour di Francia e il Giro d’Italia”.

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Un opulento pallone gonfiato che riverbera quello che non è in grado di essere: Jeff Koons a Firenze

Jeff Koons a Firenze: l’impotenza creatrice. La mostra? Un’esposizione di oggetti di lusso

di Luca Sposato, Finestre sull’Arte, 29-11-2021

Mostra Shine di Jeff Koons. Foto di Ela Bialkowska - OKNO Studio

Recensione della mostra “Jeff Koons. Shine”, a Firenze, Palazzo Strozzi, dal 2 ottobre 2021 al 30 gennaio 2022.

“L’estetica senza etica è cosmetica”

Frank U. Laysiepen

Si ha l’impressione che (gran) parte dell’arte attuale voglia affermarsi come paladina delle genti, vessillo coloratissimo che guida i popoli in nome di quella libertà individuale, lecita tanto all’artista quanto all’uomo qualunque. Un quadro già visto. La lenta uscita dalla crisi pandemica, la prima “globale”, ha esasperato l’urgenza di consenso da parte di un tipo di arte, la famigerata “contemporanea”, ancorata, nella sua stessa definizione, al consumo immediato, all’evento come paradigma dell’oggetto, quindi un’arte premurosa sia nel recuperare la presenza viva delle masse, senza le quali non potrebbe essere, sia (addirittura!) nel rivendicare un’aura, un valore cultuale.

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Condanna e celebrazione di Dante a Firenze

Ecco come Dante venne prima condannato e poi riabilitato. La mostra del Museo del Bargello

di Federico Giannini, Finestre sull’arte 26-5-2021

Giotto e scuola giottesca, Ritratto di Dante (1334-1337; affresco; Firenze, Museo del Bargello, Cappella del Podestà)

Recensione della mostra “Onorevole e antico cittadino di Firenze. Il Bargello per Dante” (a Firenze, Museo Nazionale del Bargello, dall’11 maggio all’8 agosto 2021)

Una mostra che si ponga l’obiettivo di riannodare i fili tra Dante Alighieri e Firenze, ricostruendo il processo di riappropriazione cui il poeta fu sottoposto negli anni successivi alla sua scomparsa, e seguendo la diffusione dei suoi scritti, non può ch’essere una rassegna eminentemente politica: percorrere le sale del Museo Nazionale del Bargello di Firenze dov’è stata allestita la mostra Onorevole e antico cittadino di Firenze. Il Bargello per Dante significa, pertanto, leggere le trame d’un racconto ch’è anzitutto politico.

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Botticelli e Dante

Un incredibile mondo visionario: le illustrazioni di Botticelli per la Divina Commedia

Sandro Botticelli, Paradiso IX (1481-1495; punta d'argento, inchiostro e penna su pergamena, 322 x 470 mm; Berlino, Kupferstichkabinett)

Sul finire del Quattrocento, Sandro Botticelli realizzò diversi disegni per illustrare la Divina Commedia di Dante. Sono tra le opere meno note del grande artista fiorentino ma ci restituiscono tutta la sua potenza visionaria.

Tra il Kupferstichkabinett di Berlino e la Biblioteca Apostolica Vaticana si conservano 92 disegni che illustrano un testo manoscritto della Commedia di Dante Alighieri (Firenze, 1265 – Ravenna, 1321). Questi disegni furono commissionati a Sandro Botticelli (Firenze, 1445 – 1510) da Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici (Firenze, 1463 – 1503), cugino di Lorenzo il Magnifico. A questo membro della famiglia Medici viene ricondotta anche la proprietà di alcune tra le opere più conosciute del pittore fiorentino: la Primavera, la Nascita di Venere e Pallade e il Centauro. Rispetto alle opere a tema mitologico appena citate, diventate tra i simboli universali della pittura rinascimentale italiana, i disegni della Commedia sono rimasti spesso nell’ombra all’interno della produzione botticelliana.

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Un bizzarro protagonista della scultura fiorentina di primo Cinquecento

Battaglie come salsicce, e un nome

Maestro dei Bambini Turbolenti (Sandro di Lorenzo),

Maestro dei Bambini Turbolenti (Sandro di Lorenzo), “Battaglia di cavalieri”, primo quarto del XVI secolo, collezione privata (già Londra, Daniel Katz Gallery)

Lorenzo Principi, “Il Maestro dei bambini turbolenti. Sandro di Lorenzo scultore in terracotta agli albori della Maniera”, edizioni Aguaplano. Il libro ricostruisce l’avvincente storia critica del vorticoso eccentrico fiorentino fra Leonardo e Michelangelo. Fino a oggi anonimo, gli fornisce anche un’identità anagrafica Leggi tutto “Un bizzarro protagonista della scultura fiorentina di primo Cinquecento”