Peggy Guggenheim: un nome leggendario

Peggy Guggenheim, l’ultima dogaressa di Venezia. Ecco come nacque la sua collezione e quali furono i suoi interessi

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PeggyGuggenheim e MaxErnst nella galleria surrealista di Art of This Century

“Si è sempre dato per scontato che Venezia è la città ideale per una luna di miele, ma è un grave errore. Venire a Venezia, o semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più posto per altro” così si legge in Una vita per l’arte, l’autobiografia di Peggy Guggenheim (New York, 1898 – Camposampiero, 1979) pubblicata nel 1979, anno della sua scomparsa. E certamente Peggy conobbe molto bene quel sentimento: un legame corrisposto con la sua città d’adozione, nella quale trascorse gli ultimi trent’anni della sua vita, dal 1949 al 1979.

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Eredità di Fontanesi

Fontanesi, fortuna postuma

A Reggio Emilia, Palazzo dei Musei, “Antonio Fontanesi e la sua eredità. Da Pellizza da Volpedo a Burri”. Dall’uniformità dei suoi paesaggi Antonio Fontanesi trasse i più sottili effetti di luce, che fecero scuola per Pellizza da Volpedo. Carrà vi ha visto ordine, Francesco Arcangeli un anticipo dell’Informale

Giorgio Villani, Alias, 30-6-2019

Antonio Fontanesi, “Sulle rive del Po a Torino”, 1870 circa, Piacenza, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi

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Un libro intelligente sull’Ottocento fuori dalla Francia

Da Klimt a Friedrich, da Repin a Schiele, l’altro Ottocento in un agile libro di Eugenio Riccomini

Recensione del libro ‘L’altro Ottocento. Russia, Germania, Austria’ di Eugenio Riccomini (Pendragon, 2018)

di Federico Giannini, Finestre sull’arte 2-9-2018

Eugenio Riccomini, L'altro Ottocento. Russia, Germania, Austria

È noto che diversi storici dell’arte palesino qualche difficoltà quando chiamati a mutare il loro registro per incontrare il favore e per suscitare l’interesse del grande pubblico. Non è così per Eugenio Riccomini (Nuoro, 1936), uno dei grandi maestri della storia dell’arte italiana: allievo di Carlo Volpe e di Stefano Bottari nonché amico di Francesco Arcangeli, Riccomini ha sempre saputo ben coniugare la sua carriera di storico dell’arte di spessore, funzionario in Soprintendenza e autore d’importanti studî sulla pittura emiliana del Cinque e del Seicento, con una ricca e apprezzata attività da divulgatore. Leggi tutto “Un libro intelligente sull’Ottocento fuori dalla Francia”

Sopravvissuto e invecchiato nella felicità travolgente del colore: mostra su David Hockney

Hockney, lo Yorkshire sotto il sole di Arles

A Amsterdam, Museo van Gogh, la mostra “Hockney/van Gogh”. L’intenso omaggio dell’artista inglese al pittore di Zundert, modello nella ricerca della campitura cromatica pura e abbacinante. Ma mentre in Vincent van Gogh il colore si associa a una vertigine drammatica, in Hockney è fonte di una felicità a pieni polmoni, ancora di più in vecchiaia

David Hockney,

David Hockney, “More Felled Trees on Woldgate”, 2008

Per un pittore ammiratore incondizionato di Van Gogh come l’inglese David Hockney (1937), poter allestire una propria personale al Van Gogh Museum di Amsterdam è certamente la realizzazione del sogno di una vita. E nessuno, del resto, dubitava che tale privilegio se lo fosse meritato, vista la caratura dell’artista e il legame tutt’altro che tangenziale tra i rispettivi esiti pittorici e l’urgenza espressiva di entrambi. Hockney non ha mancato di esplicitare in più occasioni il proprio amore incondizionato per il pittore olandese e una particolare consonanza. Del resto, come lui stesso ricorda, anche la sua produzione deve molto a un trasferimento: dalla luce brumosa e filtrata del freddo paese d’origine, Bradford nello Yorkshire, a quella abbacinante di una città calda d’elezione: Los Angeles, in California. Un mutamento di luci e scenari dirimente, che ne accese la pittura, esattamente come era avvenuto per Van Gogh all’arrivo ad Arles.

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Quando il fascismo tentò di esportare la sua estetica negli USA

Il lancio estetico del fascismo nell’America del New Deal

Sergio Cortesini, “One day we must meet. Le sfide dell’arte e dell’architettura italiane in America (1933-1941)”, Johan & Levi. Il saggio illustra il tentativo del fascismo di esportare in U.S.A il proprio modello estetico modernista. A rappresentare l’arte italiana, Vittorio Mussolini e Margherita Sarfatti. Ma il bilancio fu abbastanza fallimentare, con un paradosso: più che la retorica monumentale si fece strada il realismo intimista

 Corrado Cagli,

Corrado Cagli, “Giocatori di carte”, 1937, Piacenza, collezione privata, presentato nella sede newyorkese della galleria La Cometa nel 1937

E’ l’autunno del 1937 quando Vittorio Mussolini, figlio del duce, incontra il presidente degli Stati Uniti d’America Roosvelt nel corso di un suo soggiorno volto alla scoperta di Hollywood e del cinema americano. Alla fine di quel colloquio, il presidente lo avrebbe congedato indirizzando un messaggio all’autorevole genitore, che Sergio Cortesini ha usato come titolo del suo densissimo libro edito da Johan & Levi: One day we must meet (pp. 325, 70 illustrazioni b/n, euro 28,00). Era la consacrazione di un’apertura al dialogo fra i due paesi che già informava, come recita il sottotitolo del volume, Le sfide dell’arte e dell’architettura italiane in America (1933-1941).

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Leonor Fini: surrealista a la page e glamour, donna e narcisista

Il bal masqué di Leonor Fini

Leonor Fini in mostra a New York, Museum of Sex. In mostra le opere più ambiziose della pittrice surrealista, che impose i suoi travestimenti a guerra finita, fra savoir-vivre della vecchia aristocrazia e nuovo jet-set in technicolor

Leonor Fini, “Les Aveugles”, 1968

Nel 1946, a guerra ormai finita, la festa mobile – spentasi all’improvviso, in tutta Europa, nel turbine delle conquiste nazi-fasciste – si riaccese, in maniera repentina, nei salons eleganti di una Parigi liberata, oltre i sobri prospetti londinesi, nelle piazze, nei palazzi di un’Italia resa al cicaleccio brillante e alla mondanità cosmopolita, lontana dai fasti autarchici della crème mussoliniana.

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Modigliani fuor di polemica: è pur sempre un artista

Modigliani provvidenziale a Londra

Amedeo Modigliani alla Tate Modern di Londra. Ci voleva questa mostra, dopo il caso dei falsi sequestrati a Genova: per ristabilire, con sguardo lineare e qualità di prestiti, il canone di un artista che salda Brancusi e affetti della «community» parigina

A priori la mostra organizzata dalla Tate Modern di Londra poteva risultare pleonastica: un’ulteriore rassegna su Modigliani, dal taglio celebrativo e divulgativo. A posteriori, invece, ha assunto un connotato quasi provvidenziale. Infatti è la prima mostra dedicata al grande artista livornese dopo le traumatiche vicende dell’esposizione genovese, chiusa con tre giorni d’anticipo dato che la Procura aveva disposto il sequestro di ben 21 opere (sulle 70 esposte, non solo di Modigliani) in quanto sospettate di essere false.

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