Antonello da Messina (pochi) a tutti i costi (troppi)
Luca Mansueto, Finestre sull’arte, 17/01/2019
Recensione della mostra ‘Antonello da Messina’ a Palermo, Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, dal 14 dicembre 2018 al 10 febbraio 2019.
Non nascondo che, prima di varcare la soglia della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis di Palermo (il 4 gennaio 2019), avevo grandi aspettative verso la mostra Antonello da Messina, a cura di Giovanni Carlo Federico Villa, inaugurata il 14 dicembre 2018 e aperta fino al 10 febbraio 2019. Le attese erano lievitate nel corso degli ultimi mesi: si prospettava come seconda alla grande mostra del 2006 alle Scuderie del Quirinale e a quella al Mart di Rovereto del 2013, “mostra dell’anno”, “evento di punta del calendario di Palermo Capitale della Cultura 2018”, “esposte quasi la metà delle opere di Antonello da Messina”.
La raccolta delle opere di Antonello – indipendentemente dalla copiosità esposta- è l’unico elemento analogico che connette quella che fu nel ’53 un’operazione scientifica culturale con l’intrapresa promozionale dei beni culturali in corso all’Abatellis dove prevalgono invece “ logiche mercatali”. La differenza è sostanziale: con la prima si realizzò un grande processo di “messa-in-tutela” di un patrimonio storico-artistico comune; con la seconda si realizza un’ iniziativa economico-imprenditoriale di “messa-in-valore” (monetizzazione) di quel che viene definito – tristemente – «giacimento culturale»
La mostra sull’opera di Antonello da Messinaospitata in questi giornia
Palermo presso la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis – da febbraio
volerà via a Milano – oltre a registrare tanti entusiasmi, ha avviato
molte polemiche che mostrano anch’esse di essere funzionali al successo
dell’«Evento», in quanto hanno calamitato più dei rallegramenti
l’attenzione e la furia di una parte dell’opinione pubblica.
L’«Evento» viene pubblicizzato con toni trionfalistici e parole che
rinviano ad un fatto eccezionale: “Per la prima volta le opere di
Antonello riunite a Palazzo Abatellis”.
Se in tanti ricordano la grande mostra dedicata allo stesso pittore
presso le Scuderie del Quirinale nel 2006, luogo ormai da tempo adibito
al consumo dell’arte, molti non sanno che nel 1953 venne organizzata
un’importante esposizione del grande messinese proprio nella sua città
natale. Noi abbiamo voluto consultare il catalogo del ’53, per valutare
quanto dei presupposti di quella iniziativa culturale siano ancora
validi per l’«Evento» che scorre sotto gli occhi degli spettatori
contemporanei.
Il volume dal titolo Antonello da Messina e la pittura del ‘400 in
Sicilia, a cura di Giorgio Vigni e Giovanni Caradente, con introduzione
di Giuseppe Fiocco, indicava tra i promotori dell’iniziativa nomi
illustri del mondo accademico come Stefano Bottari, allora ordinario di
Storia dell’Arte nell’Università di Catania, e tra i collaboratori
Ferdinando Bologna, Raffaello Causa e Federico Zeri.
Facevano, invece, parte della Commissione istituita per la scelta
delle opere in mostra, oltre al presidente Giuseppe Fiocco (ordinario di
Storia dell’Arte nell’Università di Padova), Giulio Carlo Argan (in
quel momento Ispettore Centrale della Direzione Generale delle Antichità
e Belle Arti), Cesare Brandi (quale Direttore dell’Istituto Centrale
del Restauro) e altri nomi illustri del panorama nazionale e
internazionale: Emilio Lavagnino, Rodolfo Pallucchini, Wart Arslan, Martin Davies, Charles Sterling, Jan Lauts.
L’esposizione – a cura di Giorgio Vigni e Giovanni Carandente – venne
allestita da Carlo Scarpa e Roberto Calandra. L’occasione di tale
incontro diede avvio, peraltro, alla proficua collaborazione tra Vigni e
Scarpa che avrà come esito felicissimo la realizzazione del percorso
espositivo proprio dell’ala quattrocentesca di Palazzo Abatellis, che in
questi giorni ha dovuto fare spazio alla mostra di Antonello.
Per asserzione degli organizzatori non vennero “risparmiate le
fatiche, per raccogliere i dipinti del grande Messinese, sparsi in
Italia e nel mondo: fatiche ardue, per difficoltà reali e per resistenze
non sempre comprensibili, compensate,
per fortuna, da spontanei e pronti gesti di solidarietà” che portarono
per la prima volta a raccogliere in un’unica esposizione gran parte
dell’opera di Antonello per il pubblico godimento e, in particolare, “a
vantaggio di amatori e
studiosi” che videro riunite all’interno della medesima mostra pitture
del ‘300 e ‘400, provenienti da diversi luoghi dell’Isola. Infatti: “Per
onorare Antonello si doveva, anzitutto, comporre il panorama della sua
opera” a partire dalla
pittura coeva presente in Sicilia. In merito si esprimeva Salvatore
Pugliatti, presidente del comitato esecutivo: “il monte altissimo, non
sorge nel vuoto, ma si sistema in un paesaggio, nel quale acquistano e
danno senso le altre montagne, anche più basse, ma pur le colline, e le
vallate e le pianure, ed anche un casolare o un albero solitario”.
Si procedette così alla ricognizione delle opere pittoriche: “alcune
compromesse dal tempo e dall’incuria, altre coperte da densi strati di
sudiciume che seppellivano i toni originari e alteravano i rapporti
cromatici; altre rovinate dalle drastiche ripuliture che avevano corroso
il tessuto e la sostanza del colore; altre ancora sovraccariche di
ridipinture che le avevano del tutto sfigurate”. Pertanto si rese
necessario “un vasto e decisivo intervento di restauro” che fu possibile
grazie ai finanziamenti della Regione Siciliana e dell’allora Direzione
Generale delle Antichità e Belle Arti. Cosicché, sotto la guida
dell’Istituto Centrale del Restauro e della Soprintendenza alle Gallerie
e Opere d’Arte della Sicilia, furono allestiti ben tre laboratori di
restauro a Messina, a Catania e a Palermo: nella città dello stretto il
cantiere, attrezzato dal Comune, si avvalse del personale tecnico –
restauratori, falegnami e fotografi – dell’Istituto Centrale del
Restauro; mentre la Soprintendenza alle Gallerie diresse e coordinò i
laboratori di Catania (impiantato all’interno dell’Ospizio di
Beneficienza della città etnea) e di Palermo (che trovò posto presso
quella che sarebbe divenuta la Galleria Nazionale della Sicilia).
Il carattere meramente divulgativo del catalogo non permise di
inserire i dati tecnico-scientifici emersi durante i restauri, che
sarebbero stati pubblicati successivamente – come asserito nella
presentazione – dall’Istituto Centrale del Restauro nel Bollettino
dell’Istituto e dalla Soprintendenza alle Gallerie “in altra
pubblicazione”. Stando alle parole degli organizzatori “mai era stata
compiuta, nel campo dei restauri, un’opera di così vasta portata in così
breve tempo”. Si deve a questa straordinaria impresa anche lo
svelamento di alcune opere antonelliane. Infatti, a seguito del lavoro
di ripulitura, un successo acclarato fu quello relativo alle “tre
tavolette” palermitane che gli studiosi” poterono “con sicura coscienza
attribuire ad Antonello” mentre il risultato più ambizioso fu
sicuramente quello di avere posto in salvo “gran parte del patrimonio
artistico isolano … da sicura rovina e messo in valore”.
Ritornando ai nostri giorni, alla luce di quanto emerso dalla lettura
del catalogo del ’53, ci chiediamo quali siano oggi i presupposti della
mostra ospitata a Palazzo Abatellis: No la tutela e la conservazione
delle opere in mostra (stante le polemiche suscitate dal trasferimento a
Palermo di opere delicatissime come l’Annunciazione di Siracusa e il
Polittico di Messina, per le quali vige ancora il decreto di
inamovibilità emesso dallo stesso Assessorato che ne ha, tuttavia,
disposto e assicurato la presenza nel capoluogo regionale); No lo studio
scientifico che consentì allora di inserire nel catalogo dell’artista
le tre tavole dell’Abatellis raffiguranti i Dottori della Chiesa.
Per altri versi la mostra già nel titolo “Antonello da Messina” rende
esplicita l’aspirazione circoscritta all’opera dell’artista, senza
avvantaggiarsi dell’esposizione permanente nella sede ospitante, non
solo di alcune delle opere del Trecento e del Quattrocento che nel ’53
servirono a creare il contesto da cui l’arte di Antonello prese le mosse
ma anche della presenza straordinaria dei dipinti di alcuni pittori
fiamminghi che operarono pressoché nella stessa epoca di Antonello – i
quali hanno ceduto per l’occasione la loro saletta al grande messinese –
e il cui confronto visivo sarebbe stato quanto meno auspicabile.
Infine spiace constatare la pratica ormai consolidata che a dettare
le regole del godimento del patrimonio culturale siano le imprese che
usufruiscono degli spazi in totale autonomia: una gestione “quasi
privatistica” legittimata da una legislazione al limite della
costituzionalità. Una linea confermata anche nella specifico
dell’esposizione presso la la Galleria pubblica panormita, dove il volto
mercantile domina allorquando si pretende che anche le scuole paghino
il biglietto di ingresso alla mostra di Antonello (euro 5), quando per
regolamento a Palazzo Abatellis – così come negli altri siti museali e
archeologici della Regione Siciliana- agli studenti in visita scolastica
viene “staccato” il biglietto gratuito, e questo non per liberalità
dell’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, ma in
ossequio ai principi fondamentali didattici e formativi, di cui agli
artt. 9 e 34 della Costituzione Italiana.
Un itinerario che ci consentirà di scoprire una Sicilia diversa, lungo le coste del Tirreno sino alle isole Eolie, nonché l’interno misterioso, culla di civiltà affascinanti. La spettacolarità dei centri archeologici con testimonianze di antiche civiltà a Patti, Tindari, Lipari, Morgantina, i mosaici pavimentali della villa romana del Casale, i meravigliosi castelli di Sperlinga e Enna. Visiteremo inoltre le più antiche chiese normanne di Sicilia che si trovano lungo la costa orientale, perdute in valli secondarie e poco frequentate dai turisti. In primavera, quando la Sicilia è ancora un giardino fiorito con prati verde smeraldo.
clicca sul link qui sotto per scaricare il programma
di Toni Casano, giornalista pubblicista – responsabile regionale per le politiche dei beni culturali FP CGIL-Sicilia
Antonello da Messina, Annunciazione, Siracusa, Palazzo Bellomo
Un processo imperante quello delle mostre-evento che spettacolarizzano le macchine dell’apparire, mettendo in secondo piano la relazione soggettiva con l’opera d’arte e la sua rappresentazione