Le chiese come ristoranti

Montanari: uno scandalo vedere le chiese ridotte a ristoranti. Don Battaglia fa bene

di Vincenzo Esposito, Emergenza Cultura 28-6-2022

L’arcivescovo di Napoli Mimmo Battaglia ha iniziato una campagna per difendere le chiese monumentali della città, e soprattutto del centro storico, dai pericoli dei ricevimenti nuziali: fa bene?
«Benissimo, è la strada giusta da intraprendere per il bene di tutti, fedeli e cittadini». Tomaso Montanari, storico dell’arte e docente all’Università degli stranieri di Siena, è stato a lungo professore alla Federico II e conosce bene la città e il suo patrimonio culturale. Quello delle chiese è forse il più importante, ma anche per certi versi il più trascurato. Si calcola che nella sola città di Napoli siano oltre duemila i siti di culto, tanti del Seicento, abbandonati o trasformati in luoghi per utilizzi diversi. Le cappelle sconsacrate (ma questo non diminuisce la loro importanza artistica) trasformate anche in garage, depositi, fabbrichette.

Però ci sono anche tante chiese, spesso le più importanti e belle, che vengono utilizzate per scopi non proprio religiosi.
«Sì assolutamente, e questo è inaccettabile sia per un religioso che per un laico. L’uso dello spazio sacro per ospitare tavoli di ristoranti o buffet, per realizzare ricevimenti a pagamento, dove l’arte viene mercificata e la solennità degli arredi religiosi mortificata è, come già ho detto, inaccettabile. Don Battaglia si sta muovendo nella direzione giusta e tutti appoggiamo la sua decisione di dare decoro ai siti di culto ricordando che già dal 2010 la Curia aveva vietato i ricevimenti nuziali nei luoghi adiacenti alle chiese. Figuriamoci dentro».

Ci sono cittadini che denunciano questi episodi eccessivi. Foto e video, anche postate sui social, mostrano i tavoli addobbati nei chiostri trecenteschi o perfino sotto gli altari.
«E questa è una cosa che incoraggia. Perché vuol dire che c’è un senso civico e religioso importante. E fino a quando le persone segnaleranno e informeranno l’opinione pubblica su questi eccessi, si può fare qualcosa per fermarli. In questo caso la denuncia è stata del Comitato Portosalvo con tanto di foto. Ha fatto bene l’arcivescovo ad agire velocemente e con fermezza».

Questo farà bene alle chiese di Napoli?
«Le chiese sono come le persone, ognuna è diversa e con ognuna bisogna agire in modo specifico per capirne il valore morale. Ma la cosa che accomuna tutte è che custodiscono il valore collettivo dell’umanità, sono culle di un processo di unificazione sociale che è fondamentale per lo sviluppo di una società. Non le si può vedere ridotte a sedi di estemporanei ristoranti di lusso, dove si pagano prezzi alti, ma dove soprattutto l’arte viene svilita».

Lei è autore del libro «Chiese chiuse» (Einaudi). Si parla di opere d’arte inaccessibili, saccheggiate, pericolanti. È d’accordo ad affidare i siti religiosi a privati che poi li utilizzano in cambio di un restauro o di una semplice manutenzione?
«Dipende cosa ne fanno. L’affidamento è per scopi culturali, ma poi? Io credo che sia assurdo far pagare un biglietto per entrare in un luogo di culto. Mentre ci sono associazioni che intraprendono un percorso virtuoso per recuperare siti importanti ma che poi non riescono a terminare il lavoro».

Ad esempio?
«La chiesa di Gesù e Maria, dal dopo-terremoto è chiusa e da allora depredata di tutto. Perfino i marmi della scalinata esterna. Sopra al suo tetto, una volta, c’era anche un’antenna per la televisione. Chissà chi la utilizzava per scopri propri. Era stata affidata all’associazione Euforika che aveva iniziato i lavori di pulizia e di recupero. Ne aveva aperto, nel 2019, le porte ai cittadini, ma so che ora la loro esperienza è finita. E me ne dispiace molto».

Un altro esempio?
«L’Ospedale della Pace, con la sua meravigliosa cappella recuperata da Gennaro Rispoli e trasformata in sede di mostre sulle arti sanitarie. Ma bisogna fare ancora tanto per recuperare tutto il complesso. Spesso i privati, quelli che hanno idee e sano rispetto per i luoghi, non hanno i mezzi finanziari adatti. I privati che hanno fondi sufficienti, invece, quasi sempre, trasformano il sito a loro affidato, in luogo da mercificare facendo pagare il biglietto d’ingresso. Ecco, diciamo che l’ente pubblico, giacché molte chiese sono anche di proprietà comunale o statale, non dovrebbe mai abbandonare il sito religioso anche se viene dato in gestione. Per aiutare chi ha buone idee e per controllare chi della chiesa fa un affare troppo spregiudicato».

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