Il paesaggio, la storia la luce: il crogiuolo della bellezza sempre in pericolo

La legge del cemento soffoca anche i cimiteri di campagna

Tomaso Montanari, FQ, 14-1-2019

Non c’è pace tra i cipressi – Il piccolo camposanto di Dofana, a Siena, rischia di essere stravolto con la scusa della modernizzazione

“Su croci oblique, pendio di edera, / leggero sole, profumo e canto d’api. / Felici voi che giacete al riparo / stretti al cuore buono della terra”: il titolo della poesia da cui provengono questi versi è un archetipo dell’immaginario europeo post-romantico: Un cimitero di campagna.

Hermann Hesse aveva in mente quello di Sant’Abbondio, sopra Lugano, dove lo scrittore acquistò per sé “un bel posticino”, accanto agli amici e a coloro che avevano condiviso la sua semplice vita. Un progetto capace di rendere in qualche modo umana la più disumana di tutte le cose, la tomba e la morte.

Ebbene, in questa epoca senza umanità non hanno pace nemmeno i cimiteri di campagna: che non si salvano dal disumano cemento, in cui i nostri morti vengono murati per sempre, a strati sovrapposti, proprio come nei casermoni desolati che ne avevano già inghiottito le vite. È quanto sta per accadere a Santa Maria a Dofana: minuscolo, meraviglioso borgo conficcato nella Toscana centrale, quella per secoli disputata (perfino a colpi di omicidi) dai vescovi di Siena e da quelli di Arezzo.

L’amministrazione del Comune di Castelnuovo Berardenga si è convinta che, “in relazione all’andamento dei decessi annui, è emersa la necessità ed impellente urgenza di procedere ad un ampliamento del cimitero”: una convinzione curiosa, visto che per fortuna non si prevedono recrudescenze della peste nera e nel territorio comunale si trovano altri dodici cimiteri. Ma una convinzione che ha già indotto ad affidare ad un geologo la ricerca preliminare alla realizzazione del progetto per ingrandire, modernizzare, in una parola snaturare, il piccolo cimitero di campagna.

Il sindaco, Fabrizio Nepi, tira diritto, ma la cementificazione del cimiterino di Dofana è riuscita a suscitare l’opposizione compatta delle tre maggiori associazioni per l’ambiente: Italia Nostra, Legambiente e il Fai. Nella bella lettera che la presidente della delegazione senese di quest’ultimo, Donatella Capresi, ha inviato al comune si legge che “ampliare un piccolo cimitero di campagna, attiguo a un complesso abitativo sottoposto a vincoli da parte della Soprintendenza, comporterebbe, dato il contesto territoriale, un danno irreversibile all’ambiente circostante e pertanto auspichiamo che si trovino soluzioni alternative”.

Alla voce degli ambientalisti si è unita quella, particolarmente importante in terra di Siena, del Magistrato delle Contrade, che riunisce le diciassette contrade della città del Palio, e che è parte in causa in quanto proprietario del Cippo di Montaperti: il piccolo monumento che ricorda che proprio qui, il 4 settembre 1260, avvenne “lo strazio e il grande scempio che fece l’Arbia colorato in rosso”, come scrisse Dante nella Commedia. Nella battaglia di Montaperti – persa dai fiorentini e vinta dai senesi – si affrontarono 50.000 persone: e l’eco di quella carneficina tra guelfi e ghibellini non si è ancora spenta nell’immaginario toscano. Per questo il Magistrato delle Contrade ha scritto al sindaco che il rifacimento del cimitero “potrebbe arrecare un mutamento importante all’ambiente circostante e al panorama della zona, dal momento che il ‘Cippo’ si staglia all’orizzonte esattamente dietro al piccolo borgo contenente il cimitero”. E tornano in mente le parole di Piero Calamandrei: “Voi lo sapete che, specialmente in Toscana, ogni borgo, ogni strada, ogni collina ha un volto come quello di una persona viva: non vi è curva di poggi o campanile di pieve che non si affacci nel nostro cuore col nome di un poeta o di un pittore, col ricordo di un evento che conta per noi quanto le gioie e i lutti della nostra famiglia”. Nello stesso celebre discorso del 1944, Piero evocava proprio un piccolo cimitero campestre toscano, non distante dal nostro: “C’è tra Arezzo e Sansepolcro un piccolo paese, Monterchi, vicino al quale, in un camposanto in mezzo alla campagna, regna in solitudine il più bel quadro di Pier della Francesca, la Madonna del Parto: non è passato giorno che io non abbia pensato, come pensavo ai miei parenti ed ai miei amici in pericolo, a quel quadro abbandonato ai tedeschi. Che ne è successo? Si sarà salvato?”. Il cimitero si salvò dalla guerra, ma poi venne stravolto e cementificato al punto che qualcuno trovò naturale strappare l’affresco di Piero dal suo intimo contesto.

Ma, si dirà, a Dofana mica c’è Piero della Francesca! No, ma c’è qualcosa di ancora più importante, c’è ciò che ha generato Piero e il suo senso della luce e della forma: la Toscana, il suo paesaggio, la sua misura, il suo inestricabile intreccio tra natura, arte e storia.

Un gruppo di cittadini sta ora chiedendo al Ministero per i Beni culturali di fare il suo dovere: e cioè di porre un vincolo su tutta l’area che circonda Dofana, un luogo antichissimo, come dice il nome (che viene probabilmente da “duo fana”, due antichi santuari pagani): un passo generoso perché non bloccherebbe solo la “modernizzazione” del cimitero, ma anche le loro stesse future, possibili ambizioni. Ma per fortuna c’è ancora qualcuno che sogna (con Mogol e Battisti di Una giornata uggiosa) “un cimitero di campagna, e io là / All’ombra di un ciliegio in fiore senza età / Per riposare un poco, due o trecento anni, / Giusto per capir di più, e placar gli affanni”.

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