Sotto la lente dell’analisi i dati “strabilianti” su ingressi e incassi museali si sgonfiano…
a cura di Vittorio Emiliani – Roma, febbraio 2018
Il ministro Dario Franceschini ha esibito come dati “strabilianti” i visitatori dei Musei saliti nel 2017 a circa 50 milioni e gli introiti dei Musei e dei siti statali aumentati a 193.500.000 euro,con incrementi rispettivamente del 11,1 e dell’11,6 per cento. Successivamente, a La7, ha annunciato di aver portato allo 0,29 per cento del bilancio dello Stato quello del suo Ministero.
Vediamo allora di fare bene i conti in proposito al di là delle “veline” ministeriali.
Bilancio del Ministero
E’ vero che coi governi Berlusconi il bilancio del Ministero per i Beni e le Attività culturali era stato mutilato con la sega elettrica e precipitato allo 0,19 per cento del bilancio statale. E a tale percentuale in verità sono rimasti fermi i governi Monti, Letta e Renzi, avendo aggiunto, il secondo, ai Beni Culturali il Turismo che pure ha un suo costo di svariati milioni.
Ma un raffronto significativo va operato coi governi D’Alema e Amato II (2000-2001) i quali stanziavano per i Beni culturali lo 0,39 per cento del bilancio statale. Il doppio di quel misero 0,19.
Quindi, negli ultimi due anni, Franceschini ha recuperato soltanto una parte, neppure la metà, di quanto Berlusconi-Bondi-Galan avevano tagliato.
Non solo: bisogna tener conto dell’inflazione intercorsa fra 2001 (Amato II) e 2017 (Gentiloni) che una certa erosione monetaria in diciassette anni l’ha prodotta: per fare 1.000 euro del 2001, oggi ne occorrono infatti 1.305 (dati Istat), ed è comunque una sostanziosa differenza.
C’è poi il costo del Turismo accorpato coi Beni Culturali dal governo Letta. E sono centinaia di milioni.
Conclusione: in realtà, le risorse oggi impegnate per i Beni culturali sono nettamente inferiori a quelle di diciassette anni fa. C’è poco da suonare le trombe.
Incidenza della spesa del MiBAC sul bilancio dello Stato
(in percentuale)
2000 0.39 (governo Amato II)
2003 0,32 (governo Berlusconi)
2006 0,29 (governo Berlusconi)
2007
2009 0,23 (governo Berlusconi)
2011 0,19 (governo Berlusconi)
2012-13 0,19 (governi Monti e Letta)
2014 0,19 (governo Renzi)
2017 0,29 (governo Gentiloni)
Indice di rivalutazione dell’euro dal 2001 al 2017, 1,000=1,299
Su queste basi, nel 2011, il nostro Istituto di Statistica ha calcolato che, per le spese destinate alla Cultura nel bilancio dei vari Stati, l’Italia si trovava miseramente al 23° posto in Europa, davanti alle sole Grecia e Romania. E dietro Paesi come Cipro, Malta, Bulgaria.
Per quanto riguarda poi l’incidenza della spesa statale per la Cultura sul PIL le statistiche ufficiali sono le seguenti:
Francia 0,75 % (Pil pro-capite 43.000 dollari)
Spagna 0,67 % ( ” ” 38.200 dollari)
Austria 0,60 % ( ” ” 48.005 dollari)
Portogallo 0,40 % ( ” ” 30.300 dollari)
Media UE 0,45 % ( ” ” 39.000 dollari)
ITALIA 0,37 % ( ” ” 38.000 dollari)
Prima conclusione: L’ Austria registra un Pil pro-capite decisamente più alto del nostro, ma non del doppio, o quasi. La Francia è oggettivamente più ricca di noi, ma. come si vede dal Pil pro-capite, non vale il doppio di noi. La Spagna, come Pil pro-capite, è alla pari o di poco superiore all’Italia. Il Portogallo si colloca decisamente più in basso. Eppure tutti questi Paesi spendono per la cultura più di noi o molto più di noi. Quindi sono i nostri governi, soprattutto quelli dell’ultimo periodo, ad essere in difetto. Oggi come e più di ieri.
Diciamo chiaro e tondo che lo Stato italiano spende e investe una cifra modestissima, una miseria, tanto più a fronte di un ricchissimo patrimonio archeologico, storico-artistico-paesaggistico, coi 4.000 Musei, oltre 2.000 siti e monumenti archeologici, 95.000 fra chiese e cappelle (nel Sud veri e propri musei), 40.000 fra rocche, torri e castelli, 21.000 centri e borghi storici, migliaia di straordinaria bellezza, 13.700 biblioteche delle quale numerose antiche, le biblioteche degli ex Stati sovrani (Torino, Parma, Firenze, Napoli, Palermo, ecc.), le 955 biblioteche di Accademie, Fondazioni, associazioni e istituzioni pubbliche e le 833 di Accademie, Fondazioni, associazioni private, le 1.400 ecclesiastiche. Per non parlare degli archivi, questi ultimi trattati, come le biblioteche, da autentiche cenerentole. In un Paese che pare sempre più sprofondato nell’ignoranza di massa, dove si leggono pochissimi libri e riviste, dove è in corso un preoccupante analfabetismo di ritorno.
Musei e visitatori
Intanto va subito osservato che il trend positivo di crescita degli ingressi a musei e siti archeologici è praticamente continuo dal 1996 e che già fra quell’anno e il 2007 si era registrato un incremento del 37,59 %. Nel 2010 si cominciano a conteggiare gli ingressi gratuiti al Pantheon senza distinguere fra fedeli, abitanti, turisti. ecc. Sui 2 milioni in più solo quelli. Nel 2013 c’è un calo misterioso, nonostante vengano conteggiati per la prima volta i visitatori della Reggia di Venaria passata ad una Fondazione.
Nel 2014 prima della “miracolosa” riforma di Franceschini i visitatori sfiorano già i 41milioni. Ma non ci sono ancora gli affollamenti delle domeniche gratis ai Musei spacciate per un servizio alla cultura di massa, in realtà una calca e un caos indicibili. Valutate sui 2,4 milioni di ingressi in più. E scatta qui una sorta di “febbre del Pantheon” i cui ingressi, valutati col contapersone, cioè a spanne, vengono riportati come dati ufficiali nello stesso sito ministeriale, con una crescita alluvionale. Per sorridere meglio insieme riportiamoli integralmente:
Visitatori del Pantheon
Anno Numero
2010 4.721.200
2011 6.447.000
2012 6.438.400
2013 6.579.988
2014 6.479.136
2015 7.496.188
2016 7.994.505
2017 8.074.000
var. 2010-2017 + 71,0 %
Tra gennaio e ottobre 2017, il numero dei visitatori del Pantheon è cresciuto ad un tasso pari all’1% rispetto allo stesso periodo del 2016. Fonte: Ufficio statistica Mibact, 2017.
Nel Tempio di tutti gli dei divenuto Santa Maria ad Martyres può succedere forse qualunque prodigio soprannaturale, però 8 milioni di visitatori in un anno, che vanno ad irrobustire gli “strabilianti” dati ministeriali significano 22.000 visitatori al giorno che sono ben di più di una affollatissima curva dello Stadio Olimpico. Ma ve la immaginate piazza del Pantheon gremita da 2-3000 persone l’ora? E come ci entrano poi in quello spazio in fondo ridotto, limitato dai banchi e dagli orari della chiesa?
V’è di più: la massa dei visitatori sarebbe aumentata dal 2010 ad oggi del 71 per cento. Come è mai potuto succedere un simile evento soprannaturale? L’andamento del turismo a Roma nello stesso periodo è stato buono con incrementi degli arrivi nazionali e esteri nello stesso periodo che però crescono in media del 4-5 per cento l’anno. Nulla di paragonabile a questo picco del 71 per cento in più. Dove sono venuti in tanti allora? Da Marte?
Fra poche settimane per entrare al Pantheon bisognerà pagare 2 euro a testa, un altro balzello mortificante per “fare cassa” a spese di turisti, di residenti e di fedeli. Forse fa parte del nuovo marketing.
Introiti reali di siti e musei
Il ministro Franceschini ha annunciato subito dopo la fine del 2017, a statistiche straordinariamente “calde” (in genere arrivano, giustamente, dopo qualche mese di ponderata raccolta), che musei e si archeologici hanno incassato l’anno passato 193.500.000 euro con un incremento sull’anno precedente i 20 milioni e quindi dell’11,67 per cento.
Non ha detto ovviamente che una parte rilevante di questi maggiori incassi è dovuta al rincaro dei biglietti, che possiamo calcolare (il MiBACT su questo “dettaglio” non fornisce ancora dati certi) attorno al 5 per cento di media, e quindi l’introito totale depurato dal rincaro scende a 184.130.000 euro.
Soltanto agli Uffizi gli ingressi sono rincarati con certezza di 4,5 euro. Moltiplicati, prudenzialmente per la metà dei 2 milioni di visitatori, fanno circa 5 milioni di euro in più da soli. Agli Uffizi inoltre si pagano 38-39 euro con audioguida, mentre al Louvre un tour guidato ne costa solo 35. A Palazzo Pitti il rincaro è stato maggiore: 5,5 euro che fanno 1,6 milioni di euro in più. Da soli, prudenzialmente, sommano quasi 7 milioni in più di euro che costituiscono già oltre un terzo di quei tanto vantati 20 milioni di incremento nazionale degli incassi museali. Senza contare che pure al Giardino di Boboli si paga.
Un altro dato sconcertante: Venaria Reale è più cara della Reggia di Versailles, 47 euro per 90 minuti di visita guidata (55 per Reggia e giardini) contro 18 euro con audioguida (al giorno), 20 con accesso ai giardini. Un tour guidato nei giardini del Re Sole, 35. Cioè 20 euro in meno che alla Venaria! Facile incassare di più rincarando il costo dei servizi ai visitatori.
Ma non basta: nel periodo 2005-2011 quando di riforma Franceschini proprio non si parlava, musei e siti statali hanno incrementato del 13 per cento il numero dei loro visitatori e del 12 quello degli incassi. Si suonarono tanto trombe e trombette? No, proprio no. Insomma, basta un ufficio stampa più efficiente e un conformismo nell’informazione più diffuso e incompetente e tutto cambia? Ma le cifre sono queste e su queste bisogna discutere e non “strabiliare”, o chiudere gli occhi.
Torniamo ai conti 2017. Perché c’è un altro taglio agli introiti statali provenienti da siti e musei. Ci sono infatti le mai riformate (da Franceschini in quattro anni) società private di servizi aggiuntivi che tuttora si prendono circa il 20 per cento di media degli incassi e fanno altri 36-37 milioni in meno per il Ministero. Quindi si scende a 148 milioni circa. I quali rappresentano appena il 6,5 per cento del bilancio complessivo del MiBACT.
Ma valeva davvero la pena di suonare e far suonare tanto le trombe del giubilo per una quota tanto modesta? E di spingere i superdirettori ad organizzare di tutto un po’.Fate voi.
A essere precisi, ci sono due Musei che, a rigore, non sono più da conteggiare fra quelli statali perché entrambi gestiti da Fondazioni nelle quali la quota di partecipazione statale non è prevalente. Sono il Museo Egizio di Torino e la Reggia della Venaria (che già avremmo mettere fuori dalla graduatoria degli ingressi) i quali hanno sommato ingressi per oltre 2 milioni di persone.
Il saldo del turismo è positivo da anni
L’ anno scorso il ministro dei Beni Culturali e del Turismo si compiacque molto dei positivi risultati del nostro turismo sottolineando la superiorità del nostro sistema ricettivo rispetto a quello della Francia e di altri Paesi. M sono permesso di scrivere che Franceschini avrebbe dovuto scusarsi con la Francia (Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza) e con altri Paesi che avevano subito negli ultimi anni gravissimi attentati terroristici. I quali hanno fatto calare o addirittura crollare (vedi Egitto e Turchia, mete molto frequentate, anche dagli italiani, per non parlare della Libia cancellata da anni) il movimento turistico internazionale, agevolando quindi Portogallo, Spagna (prima di Barcellona), Italia e Grecia. Favoriti quest’anno da una primavera-estate quasi continuamente soleggiata.
In ogni caso gli arrivi del turismo internazionale e le presenze del medesimo in Italia registrano il segno ancora negativo (minimo) soltanto nel 2008 e nel 2009 e poi, dal 2010, un segno positivo costante. Lo stesso si nota per gli esborsi di valuta, come mostra questa tabella sulla spesa dei turisti redatta della Banca d’Italia:
Spesa dei viaggiatori stranieri – Serie storica | ||
Anno | Entrate valutarie (milioni di euro) |
Variazione % |
2008 | 31.090 | -0,1 |
2009 | 28.856 | -7,2 |
2010 | 29.257 | +1,4 |
2011 | 30.891 | +5,6 |
2012 | 32.056 | +3,8 |
2013 | 33.064 | +3,1 |
2014 | 34.240 | +3,6 |
2015 | 35.556 | +3,8 |
gen-giu.2016 | 16.093 | +3,0 |
Fonte: dati Banca d’Italia
Superata nel 2008-2009 la fase peggiore della recessione i turisti stranieri sono tornati e sono tornati a spendere. Non c’è nessuna magìa in proposito: è semplicemente il mercato internazionale. Che poi il nostro sistema ricettivo, la nostra promozione, i nostri trasporti collettivi funzionino così bene, lo dice soprattutto il ministro. Ma, congiuntura favorevole aiutando, si può migliorare ancora, specie nel Sud. Se magari cerchiamo di non imbruttire l’Italia, anche in regioni che sono in fase di lancio come la Puglia (che turisticamente è ancora poco “internazionalizzata” sin qui) evitando nuovi approdi di gasdotti nelle zone più intatte, come Melendugno, e magari frenando il consumo di suolo (la cui legge di contenimento non ha fatto alcun passo avanti alle Camere in questa legislatura) che, secondo l’ISPRA, prosegue ovunque ed ha toccato nel 2017 micidiali punte record in Puglia. Nonostante questa sia una delle tre sole Regioni (su 20) che hanno varato il Piano paesaggistico regionale prescritto dal Codice per il Paesaggio Rutelli/Settis di oltre dieci anni fa.
Conclusioni e interrogativi di fondo
Questi sono i dati reali. Queste sono le cifre, le argomentazioni e le controdeduzioni da noi addotte dopo gli annunci “strabilianti” del ministro.
Ebbene, subito resi pubblici, questi nostri rilievi non sono stati né rettificati né, tantomeno, smentiti da ministro e Ministero. Evidentemente perché non c’era proprio nulla da rettificare né da smentire.
Ma allora perché la maggior parte di giornali e tv continua a spacciare per “strabilianti” quei dati e quelle cifre ministeriali? Perché soltanto pochissimi (Il Fatto, la Stampa, Il Giornale, La7) cercano di andare oltre le “veline” ministeriali e fornire dati di valutazione obiettivi e completi?
Terranno conto finalmente di queste puntuali, documentate disamine su fatti e dati reali complessivi che soprintendenti e direttori non possono denunciare perché imbavagliati dal Codice etico ministeriale? Speriamo di sì.