Luigi De Falco*, Il condono sull’isola d’Ischia: considerazioni ‘a margine’ sul decreto per Genova
Molti parlamentari sostengono che l’art 25 del decreto “ponte di Genova” intenda snellire i procedimenti di condono a Ischia e così agevolare l’assegnazione dei contributi per la ricostruzione, e vorrebbero emendare il testo solo con l’obbligo di sottoporre i condoni a pareri preventivi.
Emendamenti del tutto pleonastici che richiamerebbero la responsabilità –già acclarata dalla stessa legge 47/85- delle istituzioni per la tutela paesaggistica e idrogeologica che prevedono anche l’inedificabilità assoluta. Il decreto, invece, stabilisce che le istanze di condono presentate ai sensi della legge 326/03 (“terzo condono”, Berlusconi), la cui proposizione era inammissibile in zone tutelate, divengano “ammissibili” e la ricostruzione di quelle case in luoghi dove non devono stare, verrebbe finanziata dall’erario pubblico. Vengono pure condonati “i grandi abusi” (volumi superiori ai 750 metri cubi) che la legge 724/94 (“secondo condono”, Berlusconi) escludeva limitando la sanatoria solo ai cd “abusi di necessità”. Oggi agli abusivi sarebbero applicate solo le sanzioni pecuniarie (e non più la demolizione), infinitamente più ridotte, come da legge 47/85 (“primo condono”, Craxi).
Chi fece domanda nel 2004 per abusi compresi tra il 1994 e il 2003 sapeva di non poterla presentare, in quanto il condono era del tutto inammissibile. Detti soggetti –oggi premiati- si attivarono per bloccare le demolizioni, attivabili solo all’esito (negativo) dell’istanza. E’ anche questa la ragione per cui non si è mai demolito nulla, grazie ai Comuni che da anni tengono a dormire le domande e delle Regioni che non attivano le procedure sostitutive.
Chi presentò un’improponibile domanda (aveva la sfera di cristallo?) è oggi pure favorito rispetto a chi non presentò alcuna richiesta e magari intanto avrà “subito” la pur rara demolizione, o ha un procedimento penale in corso e certamente perdente, anche lì con i tempi della giustizia aggravati dalla burocrazia e da norme che vorrebbero stabilire farraginose procedure per fissare criteri di priorità nelle demolizioni (vedi legge Campania n.19/17 dichiarata incostituzionale dalla suprema Corte a luglio u.s.).
Intanto, “campa cavallo”. Ricordiamo pure che la legge consente ai notai di procedere alla vendita di un immobile abusivo purché all’atto sia allegata copia della domanda di condono. È esemplare il caso dei 74 edifici abusivi di Casalnuovo dove 450 case (per 50 milioni di euro), sono state vendute allegando al rogito la “domandina”. Quelle istanze, anch’esse giacenti negli armadi comunali, erano fondate su documenti falsificati per far risultare precedenti al 2003 le costruzioni invece terminate nel 2005. Solo alcuni di quegli edifici furono demoliti. I reati penali tutti prescritti.
Ma perché non si demoliscono gli abusi? Il giudice che sentenzia la demolizione incarica un tecnico per verificare la convenienza a utilizzare i mezzi del Genio Militare. Il tecnico riferisce sempre che è più conveniente demolire in via “ordinaria” per cui occorre una gara d’appalto, utilizzare i prezzari del Genio civile regionale, impelagarsi nelle complicazioni connesse con l’indispensabile collaborazione dei Comuni (già inadempienti). Perché non demolire con il Genio Militare, dando a tutti la contezza della presenza dello Stato? Il tariffario dei lavori del Genio Militare è quello concordato nel 1995 tra un Ministro –leghista- ai Lavori Pubblici e uno –forzista- alla Difesa. Esso triplica i prezzi dei tariffari del Genio civile regionale ed esclude sia la demolizione delle opere nel sottosuolo (fondazioni, volumi interrati) che la bonifica e lo smaltimento delle macerie.
Sicuramente non ce ne vorranno gli abitanti di Genova se ribadiamo che l’incostituzionalità del provvedimento di legge in discussione (in tutte le salse lo si voglia dipingere) è decisamente palese. Ma non limitiamoci soltanto a quel provvedimento.
*direttivo nazionale di italia nostra